Fake news e verità che fanno male

Basterebbe una lettura un po’ più attenta dei giornali all’indomani di importanti incontri politici, per rendersi conto dell’arietta che tira a proposito delle fake news di cui il nostro direttore ha lanciato avvertimenti soprattutto per l’uso del buon senso. Il fatto è che la difesa dalle notizie farlocche è già un’arma contro le stesse proprio perché vale sempre il detto evangelico estote parati. Ma come difendersi dalle notizie, o meglio dalle dichiarazioni dei politici che commentano o replicano ad altri politici? Il giorno dopo il grande (aggettivo per niente superfluo) incontro del Cavaliere a Milano sono fioccate, come era del resto prevedibile e naturale, le repliche e i commenti tanto più che la rentrée berlusconiana avveniva dopo un lunga, lunghissima assenza. E nel mezzo di discussioni politiche oltre che alla vigilia delle elezioni del 2018, che sembrano lontane ma non tanto, almeno per il Cavaliere. E non sbaglia.

Concentriamoci innanzitutto su una sola, su una reazione analoga, su un nome: Leonardo Gallitelli. Ebbene, la proposta avanzata al “Gallia” dell’ex generale dei carabinieri come futuro Premier, era bensì nuova e comunque sorprendente, ma aveva come finalità ciò che i politici di razza, i leader, utilizzano come spunto interno ed esterno, ovverosia e né più né meno come ballon d’essai. Qualcuno ha parlato di boutade o, più seccamente, di trovata. Fatto sta che, rivolgendosi a un (ex) generale dei carabinieri, Berlusconi introduceva sic et simpliciter un discorso più ampio, “mandando al Paese un segnale politico assai chiaro, e dimostra così di saper fiutare l’aria meglio di altri” (La Stampa). Nel senso, appunto, che rivolgendosi a un autorevolissimo protagonista delle Forze dell’ordine, il messaggio esplicitava una sorta di alternativa ad analoghi, per giunta ripetuti qualche giorno fa, appelli a imprenditori, protagonisti del mercato, padroni di aziende, tycoons. Alternativa nel senso che il fiuto berlusconiano per dir così nuovista, non solo o non tanto ha guardato all’attuale panorama sostanzialmente lontano se non contro i politici di professione (i quali, se coerenti con la mission politica possono fare solo del bene, l’antipolitica no), ma soprattutto ha direttamente messo in campo le Forze dell’ordine che, nel contesto attuale stanno a significare garanzia di sicurezza, di maggiori controlli, di protezione, di presenza sul territorio. Più di un ballon d’essai, diciamolo.

E le repliche? Prendiamone solo due, arrivate peraltro a stretto giro di posta, cioè di tiggì. Di Lega e Movimento Cinque Stelle. Del resto, poteva mancare una risposta, per di più stupita e un po’ acida dell’alleato (in pectore, per ora) Matteo Salvini? No che non poteva. Anzi, non poteva e specialmente non doveva rispondere piccatissimo che quel nome gli risultava nuovo, nuovissimo, mai pronunciato. Ovvero mai discusso prima. Ora, che al capo di un’importante componente dell’attuale centrodestra, sfugga, per così dire, una boutade - questa sì - del genere, ben che gli vada è davvero un’uscita su due piedi, da impreparato e sorpreso, ma allora doveva essere o apparire lieto, mal che gli vada; invece, e come è più probabile, ha svelato urbi et orbi una sua, per dir così, scarsissima conoscenza e/o influenza sul Cavaliere proponendo un sua propria lex: quella cioè che da oggi in poi, ogni cosa, ogni proposta, ogni nome, dovrà essere discusso e approvato insieme. Ma in che film? Anzi, in che lex? La seconda dichiarazione, sempre nei confronti di Gallitelli - che ora Silvio, giustamente, ritiene comunque meritevole di un ministero nel futuro Governo - è dell’ineffabile e inesauribile dichiaratore Luigi Di Maio, lui sì candidato premier, ma da Grillo & Casaleggio. Per Di Maio è bastato che Berlusconi abbia pronunciato il nome dell’ex generale dei carabinieri, per bruciarlo. Anzi, per ucciderlo, sic!

Parole in libertà, si vorrebbe qui dire senza infierire. Ma che un Di Maio possa liquidare una questione del genere con una battuta da quattro soldi col tono di voler impartire dall’alto una lezione di sapere politico e a fronte delle reazioni dei media e non solo, largamente soddisfatte di quel nome, dovrebbe consigliargli maggior prudenza, non soltanto sui nomi dei futuri/probabili candidati a premier/ministri altrui, ma anche e soprattutto sul suo, di nome. Salvini e Di Maio. Dunque non fake news, ma dichiarazioni vere. Che a volte fanno più male. A loro stessi, in primis.

Aggiornato il 29 novembre 2017 alle ore 12:38