Pietro Grasso e l’eterno congresso

martedì 5 dicembre 2017


La sinistra della sinistra ha trovato il suo leader e ora può partecipare alla prossima campagna elettorale con l’obiettivo non di conquistare la maggioranza dei voti degli italiani, ma di prendere il maggior numero di voti della propria parte politica.

L’acclamazione di Pietro Grasso alla guida del nuovo soggetto politico della sinistra radicale s’inserisce perfettamente in questo disegno. Inizialmente i vari D’Alema, Bersani, Speranza avevano pensato che il federatore della galassia dei gruppi antirenziani potesse essere Pisapia. Ma l’ex sindaco di Milano si è rivelato troppo tentennante per poter svolgere il ruolo dello sfidante di Renzi per la leadership dell’area progressista. Così il gruppo dirigente dei post-comunisti usciti dal Partito Democratico unito ai vari Fratoianni e Civati hanno puntato sul Presidente del Senato che, pur non avendo alle spalle una qualche esperienza di politica attiva, non ha avuto un attimo di esitazione nell’accettare la corona di capo della fazione avversa all’attuale segretario del Pd.

Posta in questi termini la vicenda costituisce una tappa dell’interminabile congresso della sinistra italiana. Pietro Grasso deve togliere voti al Pd per creare le condizioni di una defenestrazione di Matteo Renzi e di una riconquista del Pd da parte degli scissionisti. Può essere che sulla base dei risultati elettorali il nuovo soggetto politico si trovi di fronte alla necessità di far pesare i propri voti per una qualche maggioranza di governo. Ma nessuno dei promotori della sinistra radicale e neppure lo stesso Grasso pongono in grande considerazione la faccenda nella convinzione che il vero e unico obiettivo della partita elettorale debba essere quello della sconfitta, il più rovinosa possibile, di Matteo Renzi.

Dall’esterno si stenta a capire una strategia che se dovesse avere successo segnerebbe comunque la fine del Pd come asse portante della politica nazionale. Ma non c’è nulla di masochistico in questo disegno. Solo la convinzione che per riprendersi il partito si debba far perdere l’“usurpatore”.


di Arturo Diaconale