Il Cavaliere è bravo ma anche fortunato

Siccome siamo andati ad ascoltare - e pure a vedere più da vicino - il Cavaliere nel suo “comizio” milanese, possiamo tranquillamente affermare che questa sua uscita in pubblico, e immaginiamo le prossime, ne ha confermato la posizione e la missione del leader in un’area politica che va oltre Forza Italia, riponendosi, dunque, come un nient’affatto improbabile vincitore delle elezioni di primavera. E già questo è un indice non solo di gradimento ma, specialmente, il segnale di una capacità di ripresa per certi aspetti stupefacente sol che si ponga mente all’elenco delle vicissitudini giudiziarie e dei lunghi silenzi impostigli. Il Cavaliere si conferma, politicamente oltre che umanamente, come il più bravo per una certa area, nel senso che ha maturato fino in fondo non tanto o soltanto i perché e i percome di tanti di quei guai, ma li ha per dir così superati in nome di una riscossa meno personalistico-vendicativa e più politica. Nel senso più pieno della parola, e del conseguente impegno dentro un quadro nazionale, europeo e internazionale a dir poco complesso, cui, del resto, Berlusconi ha saputo coniugarsi fin da quegli anni Novanta nei quali fu in un certo senso costretto dagli avvenimenti a “lasciare la trincea del lavoro per scendere nell’arena politica”.

Un gesto, se vogliamo, d’audacia in quel clima para-rivoluzionario creato dall’uragano giudiziario e dall’incombere di quella “chose”, in un certo senso mostruosa e comunque la più pericolosa, che assunse subito il nome di partito dei giudici. Un clima che sembra non essersene andato se diamo un’occhiata all’avvento di Pietro Grasso, già giudice di tutto rispetto intendiamoci, ma come dice il grande poeta: semel abbas semper abbas, per giunta a capo di un partito politico di sinistra. Il fatto è che, riferendoci sempre al Cavaliere, si può essere coraggiosi fin che si vuole, ma un po’ di fortuna - meglio se tanta - non guasta mai nel significato più preciso dell’audaces fortuna iuvat, specialmente in politica.

La fortuna è in un certo senso all’opera in questi mesi di vigilia elettorale in cui gli scontri cresceranno di intensità, al di là delle sedi proprie della politica italiana, definitivamente collocata nei media, nel medium per antonomasia, nei suoi spazi più in voga, ovvero i talk-show. Dove, peraltro, sembrano sempre più bene accolti i pentastellati, soprattutto l’autoproclamato(si) capo del prossimo Governo, quel Luigi Di Maio spettegolante che si sente già premier perché di un partito che, secondo lui e tanti altri, arriverà primo (vedi soprattutto “La7”); un Di Maio al quale non vengono poste domande o considerazioni difficili e necessarie, fra cui quella di una errata convinzione secondo cui il partito che arriva prima gode automaticamente del diritto dell’incarico quirinalesco di formare il Governo. Con chi? Sarà ben difficile, se non impossibile, che il Presidente della Repubblica affidi il compito di governare l’Italia a colui che non garantisca, in primis, una maggioranza in Parlamento. Ma c’è dell’altro, in ispecie a sinistra e non meno importante, e d’aiuto a Berlusconi, che ha il nome dell’attuale Presidente del Senato, cioè Grasso.

Le belle parole, i discorsi elevati, i toni più toccanti per un progetto aggregante della nostrana gauche, dopo i viavai di Giuliano Pisapia, non riescono a nascondere il più vero degli obiettivi, il più sperato ma non irraggiungibile degli scopi del nuovo rassemblement. No, il traguardo da raggiungere per “Liberi e Uguali” non è quello di vincere tout court, ma di battere quel Matteo Renzi che vedono come il fumo negli occhi in una sfida bensì ai voti, ma di quelli speciali, che contano; cioè i voti per impedire al Pd renziano di vantare una maggioranza di governo.

Fortuna? Caso? Grasso? Il fatto è che c’è qualcosa, qualcuno, che lavora per lo stesso scopo del Cavaliere. Che ringrazia.

Aggiornato il 06 dicembre 2017 alle ore 19:22