Chi ha vinto, chi ha perso?

sabato 23 dicembre 2017


Risuonano ancora nelle nostre orecchie le parole di Pier Ferdinando Casini a proposito della commissione che sta presiedendo: “Sarà un impasto di demagogia e pressappochismo che, al di là delle migliori intenzioni, non produrrà nulla di buono per le istituzioni”.

Non so se siamo a questo punto dei lavori, anche perché uno come Paolo Cirino Pomicino, che se ne intende come Casini, ha parlato addirittura di cupio dissolvi, sempre a proposito di questa specie di bicamerale da Palazzo di Giustizia, aggiungendo la profezia di un prossimo dissolvimento dell’intero sistema politico italiano “che spinge alla deriva ogni livello istituzionale salvando sinora solo la Presidenza della Repubblica”. Parole serie, anzi gravi, che sembrano rafforzare in un certo senso la tesi casiniana giacché l’ultima deriva della sua commissione sta nell’essere come allo sbando ancorché abbia l’obbligo di produrre l’emersione di ogni responsabilità sul fallimento di banche “minori” se non proprio dei problemi, peraltro ben visibili, del nostro sistema di credito coi suoi auto-sbandierati autonomi e indipendenti responsabili.

Sarà anche così, non c’è dubbio, compreso un certo non so che da pissi pissi bau bau incalzante ogni convocazione, soprattutto quando l’oggetto della stessa è, anche e soprattutto, il ruolo della famiglia Boschi nella questione Etruria. Famiglia intesa come figlia-ministra e padre-amministratore. E infatti la “deposizione” di un Federico Ghizzoni fatto passare da molti media come una sorta di deus ex machina del sistema bancario italiano mettendo la sordina se non il silenzio sulle responsabilità nell’attuale e disastrata storia delle nostrane banche e dei loro per dir così gestori nella più piena delle autonomie, come si dice e si spergiura.

Mettiamola come si vuole, ma la questione dell’Etruria ha ormai assunto un ruolo di paradigma, di anticipo, di annuncio di come sarà la vicina campagna elettorale sol che si pensi che questa piccola banca e le sue ingloriose vicissitudini, dolorose per i risparmiatori, non lo sono di meno rispetto a un ex presidente del Consiglio, e ora segretario del Partito Democratico, e a un ex ministro attualmente sottosegretario di Stato. Perché sia la Boschi che il suo sponsor e amico Matteo Renzi devono ora fare i conti con un’opinione pubblica che ha giocato e giocherà un ruolo sempre più decisivo in una campagna elettorale, e non solo, che i media esalteranno nei suoi lati più eclatanti e colpevolisti, al di là di ogni ragionevole dubbio. Non a caso l’anticipo di una Boschi messa alle corde innanzitutto dal libro di un ottimo giornalista come Ferruccio de Bortoli e ora dall’incalzare senza tregua di un tribunale parlamentare, prefigura per l’appunto il terreno cosparso di mine delle elezioni primaverili che fra qualche giorno Sergio Mattarella indirà seguendo involontariamente i tempi di questo film cui la parola “The End” perverrà dopo lo spoglio dei voti segnalando una conferma in peggio dell’attuale crisi del Pd renziano. Altro che magnifiche sorti e progressive. E a maggior ragione sullo sfondo e sugli immancabili risultati di una recente scissione che aveva tutta l’aria di essere mirata a un liberi tutti, a sinistra, da Renzi, con l’aiutino di un neodipietrismo aggiornato da un Pietro Grasso al servizio, si presume, di una gauche che non dimentica i frutti raccolti più di un ventennio fa grazie, appunto, a quel Pm circonfuso di miti e leggende, allora e per non pochi anni.

È chiaro che l’onda d’urto nei confronti della Boschi e dello stesso Renzi è pronuba di altre scosse nell’urna che molto probabilmente agevoleranno un M5S decisamente non all’altezza della nuova situazione che seguirà, e per certi aspetti di un Berlusconi che è apparso (perché lo è di natura) moderato, prudente, non distratto e niente affatto all’attacco con l’arma bianca. Chi vivrà vedrà, come dice il saggio prendendo ovviamente le distanze dall’impostazione che la Boschi ha dato alla questione nel senso che fin dall’inizio poteva (anzi doveva) non nascondersi dietro il ditino della innocenza dei suoi incontri a proposito di quella Etruria, giacché salvare una banca o trovarne i rimedi per evitarne la caduta, non è per niente una colpa da parte di un ministro, al di là del padre, peraltro messo anche lui da parte.

La sconfitta di oggi del renzismo, con tanto di Carrai agli onori delle cronache, va al di là delle persone, al di là del contingentismo giudiziario-giustizialista-partitico, al di là cioè di vincitori e vinti di oggi. Le apparenze non devono ingannare sol che si rifletta ancora sulla Boschi di cui è stato smentito - nel classico a domanda risponde - dai leggendari banchieri un interessamento personale, con però agganciato quello che si chiama volgarmente “sputtanamento” della stessa. Innocente ma colpevole, non c’entra ma c’entra, non ha fatto niente ma anche qualcosa. E c’entra lei e pure lui, il già Premier e non dimenticato protagonista di un referendum la cui sconfitta doveva convincerlo a quello che si chiama un passo indietro, mettersi da un lato, dimettersi insomma. E pure la Boschi, allora e non oggi che è tardi. Per di più con un segretario del Pd che, in certi momenti, ha dato l’impressione di inseguire la ola grillina, facendo non politica semmai il gioco del duo Grillo-Casaleggio che dell’antipolitica sono l’espressione più compiaciuta e di successo. Per ora.

L’impressione che si ha, diciamocelo francamente, travalica donne, uomini e banche, ministri, presidenti, sottosegretaria e così via nel senso che si è verificato uno dei colpi di maglio più forti nei confronti della politica tout court, della sua natura, della sua essenza, della sua ragion d’essere in una partita il cui primo tempo ne segnala una sconfitta. E il secondo rischia di finire peggio, senza nemmeno i tempi supplementari.


di Paolo Pillitteri