Il difetto sta nel manico

sabato 30 dicembre 2017


Con un decreto del Governo, a legislatura oramai praticamente chiusa, è venuta fuori la “grande riforma” delle intercettazioni telefoniche. Non si sa bene, ma forse è facilmente spiegabile, chi abbia fornito al ministro Andrea Orlando e al Governo il supporto della sua scienza giuridica per “giungere alla soluzione del vecchio e spinoso problema”. Si fa (naturalmente) per dire, anzi, se se ne ha lo stomaco, per ridere. Perché il prodotto del “garantismo renziano” è il sugello, la legittimazione del malaffare processuale, il tipico prodotto di una scienza dell’ipocrisia, che una schiera di leccapiedi ha elaborato per redigere autentici codici dell’abuso che garantiscono tutto fuorché la difesa dagli abusi e dalle distorsioni di ogni principio.

Per farla breve, anzi, brevissima, la novità del garantismo pulcinorlandesco sarebbe questa: le intercettazioni debbono essere “purgate” di ogni registrazione “non rilevante” ai fini del giudizio e saranno posti ulteriori divieti addirittura al rilascio di copie agli avvocati. Negli “atti processuali” rimarrebbero, custodite dal solito segreto di Pulcinella, solo le intercettazioni “rilevanti”, ecc. ecc..

La chiave, anzi, il grimaldello, di questa ennesima deformazione inquisitoriale del processo penale è in quel “potere di selezione” delle intercettazioni “rilevanti” e nello scarto di quelle “irrilevanti”. Perché ci vuol poco a capire, così che se ne può e se ne deve fare addebito persino a un Orlando (ministro) che, poiché la selezione e la distinzione è decretata dagli “inquirenti” (inquisitori!), “rilevante” è termine identico a “utile all’accusa”. Anzi, all’impianto accusatorio personalmente partorito dai cervelli e degli umori degli “inquisitori” medesimi. Ogni altro criterio selettivo è falso, falsificante, fasullo. Del resto, il solo fatto che, magari, dalle intercettazioni risulti che gli “indiziati”, sospetti di legami mafiosi, hanno sempre parlato d’amore, del giuoco del calcio, di un’altra comune passione sportiva, sarebbe pur sempre una prova rilevante ai fini della difesa. Ma l’inquirente-inquisitore definirà senz’altro quel materiale “irrilevante” e potrà distruggere la prova.

Ma ciò che rende non solo inesistente nel provvedimento orlandesco, ma impossibile nell’assetto pratico processuale penale creatosi nel nostro Paese ogni salvaguardia, ogni possibile intervento nella difesa a impedire che la “selezione” diventi una “manipolazione” della prova, è l’elefantiasi del ricorso alle intercettazioni telefoniche, alla falsificazione sistematica di ogni motivo e motivazione delle relative autorizzazioni, il latente abuso di “autorizzazioni in bianco”.

Nessuno sa quanti telefoni siano nel nostro Paese sotto controllo. Chi intercetta chi. E perché si intercetta. Un controllo della legittimità e dell’opportunità della conservazione o della distruzione del prodotto del “tutti intercettano tutti” non solo è impossibile, ma è ridicolo ipotizzarlo. E qui bisogna andar ancor più su, nel “manico” dello spaventoso difetto di tale strumento processuale. Il Codice di procedura vigente, con una falsa e falsificante imitazione del sistema anglosassone, ha affermato che l’azione penale incomincia con la richiesta di rinvio a giudizio. È da ridere, anzi da piangere, la conseguente affermazione che, ad esempio, tutta la fase “cautelare”, con ricorsi, annullamenti, rinvii, non sia espressione dell’azione penale”. Ma spaventoso è il complemento di tale falso assioma: “Il P.M. compie le indagini necessarie all’esercizio dell’azione penale”.

Indaga, cioè, per accertare che vi sia qualcosa su cui indagare, non perché vi sia “notizia di reato”, ma alla cerca di tali possibili notizie. Quindi intercetta le telefonate delle persone per bene per rendersi conto se siano veramente per bene e al di sopra di ogni sospetto. Indaga, intercetta. E non si dica che le intercettazioni sono ammesse solo in presenza di gravi reati. Andate a sostenere che non c’è nessun reato di mafia in corso e vi applicano le misure di prevenzione!

Il ricorso alle intercettazioni diventa così sempre più mastodontico e incontrollato, anzi incontrollabile. Orlando potrà redigere qualche regolamentazione per impedire che restino in circolazione le intercettazioni dell’affare Banca Etruria, quelle su papà Renzi e papà Boschi. Ma non ha né la mente né il coraggio di mettere i bastoni tra le ruote alla grande macchina dell’abuso. Il suo decreto, infatti, ne legalizza le peggiori espressioni.

Bisogna abolire questa Inquisizione satanica di cui l’Italia ogni giorno di più diventa preda. Le pezze colorate, le coperture viscide e ipocrite degli abusi non cesseranno certamente con questi pasticcetti. Il difetto sta nel manico. E che manico!


di Mauro Mellini