La seconda vita politica di Emma Bonino

giovedì 4 gennaio 2018


Emma Bonino, dopo il divorzio ideologico da Marco Pannella, che risale ad almeno tre anni prima della sua scomparsa, sta vivendo una seconda vita politica. Se nella prima era stata una pasionaria della lotta per l’aborto regolamentato, per le battaglie per i diritti civili e su tutti i temi che ancora oggi caratterizzano il core business politico-esistenziale del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, nella seconda ha preferito gli incarichi istituzionali, strameritati, e coltivare la propria immagine. Insomma, è diventata una donna di potere. E infatti i giornali da tempo le dedicano quelle attenzioni che a Marco Pannella sono state negate fino all’ultimo respiro.

Per di più, da tempo la Bonino si è legata a personaggi della sinistra come Enrico Letta, Massimo D’Alema e Giuliano Amato. Per non parlare del sodalizio con Mario Monti e tutta l’euroburocrazia. Insomma, pur non pietendo poltrone, ha cominciato a investire su se stessa. Lasciando Pannella e i vecchi compagni a continuare da soli a fare battaglie idealiste e non capite dagli italiani come quella per le carceri (pur non rinnegandole) e prediligendo invece le tematiche economiche ed europeiste che danno molta più visibilità politica in Italia e all’estero.

I risultati si vedono: oggi la Bonino è al centro del dibattito politico e anche degli intrighi di palazzo. Almeno se è vero la metà di quel che scriveva ieri un retroscenista de “la Repubblica” a proposito di una cena riservata con Giuliano Amato, Fabrizio Saccomanni ed Enrico Letta in cui si sarebbe ordita l’ennesima congiura antirenziana su ’sta storia delle firme per Radicali italiani. E su un’eventuale rottura dell’alleanza per ora solo ventilata. Quindi ancora prima che nasca. La Bonino sarebbe stata consigliata da Letta di non buttarsi con Matteo Renzi. E ora si aspettano smentite e conferme.

In questa nuova vita politica lontana dalle litanie di Pannella e dal vero Partito radicale transnazionale, la Bonino aveva bisogno di un partito personale, grande o piccolo che sia, come ce lo hanno avuto quasi tutti: da Mastella ad Alfano, passando per Di Pietro, Ingroia, Grillo e tanti altri. Per averlo ha scelto Radicali Italiani e ha rotto con tutto lo stato maggiore del post-pannellismo continuando per la propria strada e infischiandosene delle scomuniche. Fino al varo di questa lista con la parola “Europa” bene in vista, concepita insieme a Benedetto Della Vedova, che però è più vicino ai renziani che al milieu boniniano. Una lista con lo slogan implicito di “più immigrati, più Europa e più tasse”. Una miscela che se riuscisse a raccogliere voti andrebbe brevettata per farci i soldi. Ma forse i voti sono secondari adesso che la Bonino sta nel pieno dell’agone politico e ha capito perché prima non usciva sulle prime pagine dei giornaloni e nei servizi televisivi, mentre ora sì.

Certo, ha dovuto scarificare (ammesso che per lei sia stato un sacrificio) la vita da bohémienne della politica dei bei tempi in cui veniva malignamente considerata “il barboncino” di Marco Pannella (famosissimo uno che telefonava quasi tutte le sere ai fili diretti di Radio Radicale abbaiando “bau bau” e poi dicendo: “Salve, sono Emma Bonino, il barboncino di Pannella”), ma ha raccolto il successo e la visibilità della politica tradizionale. Quella del regime tanto deprecato. Ecco quindi lo sbocco della seconda vita politica di Emma Bonino tra la “Fondazione Italianieuropei” di Amato e D’Alema e la facoltà di Enrico Letta alla Sorbona.

Certo, adesso i vecchi compagni hanno difficoltà a capire il progetto politico di un partitino che può ambire a fare concorrenza a cespugli del Partito Democratico del passato e del presente, come quelli di Mastella o di Alfano. Ma tant’è. Mutatis mutandis, la parabola di Emma assomiglia un po’ a quella di “The Lady” in Birmania. Cioè del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, che da perseguitata del sistema del proprio Paese è passata a comandarlo. Con quello stesso pugno di ferro di cui precedentemente lamentava l’ingiustizia e la valenza repressiva.


di Dimitri Buffa