Rivolta in Iran, ipocrisia in Europa

“Il regime iraniano sarà abbattuto dal popolo di Teheran”. Come accadde per lo scià. “L’Europa può fare ciò che vuole. O non fare nulla. Ma il nostro Paese è pronto per il change regime”.

Così due giorni fa uno dei rappresentanti della resistenza iraniana, portavoce degli studenti iraniani laureatisi in Italia dopo il 1979, Esmail Mohades, chiamati a testimoniare alla conferenza di Nessuno tocchi Caino. L’Iran nel frattempo in Europa è considerato come un business. Italiano ed europeo, per l’appunto. Con commentatori tipo quelli di “Limes” che discettano di moderati come Rohuani e oltranzisti come Khamenei. Ma questi giochetti sono inutili. Come è assurdo dividere il regime tra riformisti e oltranzisti. Gioco europeo che in Iran sbeffeggiano. “Da noi in Iran queste divisioni di comodo che fate voi europei non esistono e farebbero ridere se non ci fosse da piangere”, ha ribadito Mohades.

Sarà quello che sarà. Stavolta il fuoco che divampa non sembra di paglia. Perché deriva proprio da una tesi pannelliana del proprio lascito testamentario: maggiore conoscenza maggiore consapevolezza e maggiore richiesta di libertà. E anche di rivolta per la libertà. Da parte dei popoli. E gli osservatori iraniani presenti alla conferenza voluta da Nessuno tocchi Caino, ad esempio Amir dei giovani iraniani esuli in Italia hanno raccontato di ribellioni estese in tutte le province della ex Persia. Con un’atmosfera che non si respirava dai tempi della caduta dello scià.

“Fusse che fusse la volta buona”? Che il mondo si libera del khomeinismo e degli ayatollah sanguinari cui si genuflettono però periodicamente le autorità politiche della Ue? Appena a Teheran le persone hanno scoperto, dalla sofferta pubblicazione delle carte del bilancio dello stato, quanto si spende (qualcosa come 40 miliardi di dollari annui, pari a oltre il 10 per cento del budget di uno stato già in crisi economica per le sanzioni e con l’inflazione alle stelle) per le spese militari e per gli apparati di sicurezza, nonché per fare le guerre geopolitiche a Gaza, in Siria e in Libano, sono arrivate le manifestazioni con i cartelli “no Gaza, no Beirut... more Teheran”.

E a proposito dell’irrilevanza dei giochetti europei, in conferenza stampa a via di Torre Argentina è giunto anche un parallelo con gli errori dell’America del pre Khomeini. Come quando Jimmy Carter nel 1978 si recò a Teheran per elogiare Reza Pahlavi e si sbilanciò “parlando del nostro Paese come un’isola di stabilità... fu smentito pochi mesi dopo”.

Poi si buttò in una mossa disperata persino ad appoggiare la rivoluzione di cui era stato messo a capo Khomeini. Ed è finita con la crisi degli ostaggi dell’ambasciata americana. Questa la nuda verità dei rapporti diplomatici contro producenti con l’Iran. Poi ci sono i punti di vista come quelli di Sabrina Tocci, assistente personale della Mogherini, che, di ritorno da una visita a Teheran in cui si è parlato solo dei “grandi progressi del nucleare di pace iraniano” (fingendo di non capire cosa avviene dietro le quinte di quell’accordo), ha pensato bene di twittare il proprio fastidio. A suo dire dovuto alla differenza tra quanto racconta la stampa internazionale sull’Iran e quanto ha visto lei di persona. Evidentemente i 50 e passa morti di queste manifestazioni e gli oltre 3400 incarcerati, insieme ai quasi 4mila mandati a morte dal moderato Rohuani nel corso dei propri due mandati, non le sono bastati.

Aggiornato il 12 gennaio 2018 alle ore 08:08