M5S: splendido isolamento finito

martedì 30 gennaio 2018


Sembra facile, come diceva l’antico intercalare. Sembrava fin da allora e sembra tuttora: facile, ciò che facile non è. Si prenda il casus più casus di tutti (non fosse altro che per i voti) del Movimento 5 Stelle. Ebbene, il movimento che fa (faceva?) della protesta, dell’urlo, dell’opposizione contro tutto e tutti il suo blasone indiscutibile, sembra un tantinello rientrato dallo sventolio frenetico di quella bandiera. Bandiera redditizia, si capisce. Essere contro è molto più giovevole, nei voti, che essere, se non a favore, almeno neutrali e comunque diversi da prima. Al partito di Grillo & Casaleggio si direbbe, anzi, che stia venendo meno proprio lui, il fondatore, il padrone, il deus ex machina: il Beppe Grillo in persona. Come ricordava bene il nostro direttore. Il che, come ben sappiamo, non era del tutto imprevedibile sol che si pensi alle oggettive modificazioni che un partito, qualsiasi, da che mondo è mondo, è costretto a subire nella sua storia. Come una febbre giovanile, una varicella, un’influenza per dire.

As time goes by, mentre il tempo passa, appunto, le modifiche interne sono inevitabili e pure inesauribili e, quasi sempre, intaccano e modificano la natura, i geni, la filosofia del movimento come se una forza esterna più potente di tutte lo sottraesse alla logica costrittiva della rabbia incanalandolo nell’alveo prima dell’ascolto, poi dell’attenzione e poi della ricerca di collaborazione. E per che cosa, tutto questo cambiamento, dapprima ben nascosto ma poi evidente? Per quale obiettivo? Per quale politica?

Per una malattia, se vogliamo rimanere nel quadro clinico, che chiameremmo col nome di governativismo, laddove il termine governo implica innanzitutto una necessità naturale come sono del resto naturali i cosiddetti istinti della politica. Se fatta bene o fatta male, poco importa giacché il termine Polis spiega da sé nascita essenza e divenire della sua presenza nella storia. E del resto, ben sappiamo che in democrazia, un partito, qualsiasi partito, se suffragato più degli altri dei voti elettorali, si sente naturaliter spinto a dare un’altra prova di sé: quella del governo in nome e per conto di quei voti. E, altrettanto naturaliter, qualora quel partito non goda della maggioranza in Parlamento, chieda aiuto agli altri partiti, subito in silenzio ma sorridendo, poi socchiudendo bocca a un invito gentile, poi offrendo qualcosa, poi, poi, poi. Poi si vedrà. Ma intanto il nostro partito, quello di Grillo per intenderci, ha modificato toni, parole, atteggiamenti, insomma, ha cambiato carte in tavola e con Di Maio si offre, se non al maggiore offerente, certamente come il partito che più degli altri ambisce al governo della cosa pubblica, nel senso che, come si dice fra populisti e qualunquisticamente, ce n’è per tutti.

Il fatto è, comunque, che per un Grillo che prende le distanze dalla sua stessa creatura soprattutto per “rimanere fedeli a se stessi” - opposizione dura e pura, sempre e comunque questione morale, tutti ladri, tutti corrotti gli altri ecc. - il Di Maio candidato al governo del Paese, è un’altra “cosa”, è diverso, è un’altra storia, senza giuramenti, dogmi di fede, obblighi di obbedienza, alieno dai conflitti. Anche se quello interno è cominciato. E La storia insegna che non porti voti, quel genere di conflitto. Anzi.


di Paolo Pillitteri