Cottarelli scivola sull’evasione

giovedì 8 febbraio 2018


Chiamato da Giovanni Floris, insieme a Maurizio Landini ed Elsa Fornero, a discutere intorno alle promesse elettorali dei principali partiti, Carlo Cottarelli scivola malamente sul tema sempre ostico dell’evasione fiscale.

Dopo aver criticato, su sollecitazione del conduttore, in lungo e in largo soprattutto le tesi del centrodestra, quasi che gli altri contendenti in campo avessero invece presentato proposte del tutto ragionevoli, l’economista cremonese ha sparato la sua bordata contro la cosiddetta evasione fiscale: “Ho calcolato che se dal 1980 in Italia avessimo avuto un’evasione più bassa di un ottavo, oggi avremmo un debito pubblico più basso di quello della Germania”.

Così, ahinoi, parlò questo stimabilissimo aspirante Zarathustra dei conti pubblici, al quale mi permetto umilmente di ricordare solo alcune delle tante aporie che da sempre rendono del tutto impossibili certe semplicistiche contabilizzazioni circa un presunto effetto benefico di un più efficace contrasto alla citata evasione fiscale.

Premettendo che qui nessuno intende incitare qualcun altro ad infrangere le norme, sul piano sistemico generale la propensione a sfuggire al fisco, fisiologica in tutti i Paesi del mondo, aumenta col crescere della pressione tributaria allargata, assumendo spesso le funzioni di cassa di compensazione per una economia, come per l’appunto quella italiana, soffocata da una tassazione inverosimile. Ciò significa che, apparentemente per assurdo come ci ricorda la famosa curva di Laffer, le risorse sottratte alla cosiddetta società spontanea attraverso una più serrata lotta all’evasione si tradurrebbero in un ulteriore disincentivo alla intrapresa produttiva, vero motore di ogni moderna economia di mercato, determinando un conseguente calo nel gettito fiscale complessivo dello Stato.

Ma non basta, lo stesso Cottarelli manifesta una incondizionata stima nei confronti della classe politica in generale quando ritiene che essa sarebbe certamente orientata ad utilizzare sempre e comunque i proventi di una maggiore fedeltà fiscale nell’abbattimento del nostro mostruoso debito pubblico. Forse all’ex commissario alla spending review sfugge il nesso che esiste da decenni nel nostro bilancio pubblico tra l’aumento delle entrate e quello, ancora maggiore, delle spese, queste ultime utilizzate da chi governa per tentare di consolidare il proprio consenso elettorale.

A questo proposito, è mia convinzione che se dal 1980 il sistema economico privato avesse versato all’erario un ottavo di tasse in più, oggi avremmo probabilmente il medesimo debito pubblico, ma senz’altro il Paese nel suo complesso si troverebbe in una condizione invero peggiore.


di Claudio Romiti