Elezioni, attenti al dopo!

Sarà quel che sarà, si diceva e si cantava una volta, e può funzionare e/o consolare una frase del genere, ma non sempre. E anche non dopo un risultato elettorale in un 4 marzo alle porte che segnerà, starei per dire ovviamente, un punto bensì fermo ma soggetto a spinte non univoche. Il fatto è che il seguito “politico” non appare così ovvio e anche il nostro giornale ne evidenzia spesso una futuribilità consistente da un lato con la non sottovalutazione di un partito neonato, “Potere al Popolo”, capace comunque di aggregare il vuoto della sinistra più radicale e, a fronte, la consistenza attrattiva dei non pochi “onesti impostori” pentastellati, a loro volta non feriti seriamente (per ora) dalle ridicolaggini degli imbrogli parlamentari a proposito di esborsi. E il bello è che la definizione di impresentabilità da loro così rinfacciata solo alle liste degli altri, sta tornando come un boomerang nelle proprie.

E sempre a proposito dei pentastellati “imbroglioni” (ora quattordici, domani chissà) si potrebbe dire che si sono accorti che fare politica ha un costo e infatti sono progressivamente lievitate le spese per consulenze, collaboratori, supporto legale ed elettori nel collegio, adattandosi, inoltre, allo stile di vita romano e che, dunque, per un eletto contano, eccome, le spese di vitto e alloggio. Intanto incalza, secondo i loro vertici, un fantasmagorico pericolo massone, con relative espulsioni dei reietti candidati, a loro volta consapevoli che, una volta in lista non valgono queste espulsioni, semmai rinviate a dopo la loro elezione assai probabile, e soltanto quando eventuali dimissioni dovranno, per legge, essere accolte dal Parlamento. Vero Di Maio?

Proiettandoci sul dopo 4 marzo, verrebbe voglia di invitare anche un centrodestra in ottima forma - che tutti i sondaggi danno per vincente a mani basse - a non sottovalutare qualsiasi eventualità di quel dopo. È vero, una vittoria elettorale, per ora sondaggistica ma dopo reale ed effettiva, resta sempre un punto di partenza oltre che di arrivo in una campagna elettorale che vedrà incrinarsi di molto il mito della forza della “italian gauche” raccolta intorno ai piddini di Matteo Renzi (e Piero Badaloni). Sul loro partito “di lotta e di governo” è quasi ovvio che si addenseranno non tanto o soltanto le critiche interne per l’insuccesso quanto, soprattutto, le mire di chi ne vorrebbe la sostituzione-umiliazione oltrepassando il dato elettorale, infischiandosene alla grande della cosiddetta volontà del popolo sancita dal risultato vincente del centrodestra in generale e, in particolare di Silvio Berlusconi, col suo ritorno sulla scena politica, alla faccia dell’immeritata esclusione da liste e Parlamento.

Il punto dunque riguarda un dopo del quale si potrebbe prevedere fin d’ora l’inquietante (per chi ha vinto) previsione in rima che “del doman non v’è certezza” in una politica che si alimenta, e non soltanto nel M5S, del tutto contro tutti, ma che, a risultato ottenuto, non può non guardare con attenzione e interesse alle possibili risposte di potere, cioè di governo. Intendiamoci, un centrodestra che si afferma vigorosamente come da previsioni e sondaggi, costituisce di per sé una risposta forte, chiara e univoca della volontà popolare, a meno che... A meno che non si cambino le carte in tavola, proprio da parte di taluni, ancorché usciti vincenti proprio grazie a quell’alleanza, e a Silvio Berlusconi.

Il cambiare le carte in tavola dopo il 4 marzo significherà, né più né meno, dare vita, e maggioranza, a un’alleanza diversa per governare. Col che non si vuole tirare in ballo, processandoli anticipatamente, i soliti malumori anti-Cavaliere che nella Lega, prima e dopo Matteo Salvini, ci sono sempre stati, anche se va pur detto che prima c’era Umberto Bossi a fare la differenza. Si vuole semplicemente ragionare su ipotesi di un deprecabilissimo ribaltamento politico, e non soltanto alla luce di quel neopartitino di sinistra appena nato e chiaramente ostile al renzismo piddino, e di cui, peraltro, la consistenza oltre il 5 per cento dei Pietro Grasso e Laura Boldrini non ne esclude allargamenti insieme, ma alle non così proibite né tantomeno impossibili alleanze in grado, numericamente, di guadagnare in Parlamento un voto, e anche più di un voto, per sostituire i naturali vincenti con un’altra cosa. E quale cosa? Indovinala Beppe Grillo! Chi vivrà vedrà, come si dice. Ma intanto, attenti al dopo!

Aggiornato il 17 febbraio 2018 alle ore 08:06