Agenti provocatori e processi alle intenzioni

Ospite di Matrix, programma di approfondimento condotto da Nicola Porro, l’ex inviato delle Iene Dino Giarrusso, candidato a Roma con il Movimento 5 Stelle, ha inscenato una invereconda perorazione di quella vera e propria schifezza illiberale del cosiddetto agente provocatore.

Trattasi dell’ennesima trovata dei geni pentastellati, portata agli onori della cronaca dalla più che controversa inchiesta di “Fanpage” sui rifiuti in Campania, per risolvere con una trovata da quattro soldi un problema assai complesso qual è quello della corruzione.

Come ha giustamente rivelato il presidente dell’Anac Raffaele Cantone, “il compito della giustizia penale è punire (e perseguire) coloro che hanno commesso reati, cioè fatti socialmente dannosi, non coloro che si mostrano propensi a commetterne. Uno Stato che mette alla prova il cittadino per tentarlo e punirlo, se cade in tentazione, non riflette un concetto di giustizia liberale”.

Ma per i grillini, come ha lungamente insistito Giarrusso nel corso del talk-show di Canale 5, evidentemente il modello stile Securitate di Nicolae Ceauşescu, in cui delatori e provocatori fanno a gara nel purificare la società, rappresenta un ottimale paradigma da perseguire. Così come accadeva durante gli anni bui dello stalinismo, si potrebbe addirittura introdurre un istigatore di reati per ogni fabbricato, così da ottenere un controllo capillare dell’intero territorio nazionale.

D’altro canto, come ci ricorda il titolo di un famoso dipinto di Francisco Goya, quando il “sonno della ragione genera mostri”, dobbiamo aspettarci qualunque abominio da chi interpreta in modo assolutamente totalitario il concetto di democrazia. E, da questo punto di vista, il passo dalla nefandezza dell’agente provocatore a quella ancor peggiore del processo alle intenzioni risulterebbe molto breve. Sarebbe il caso di meditare a fondo su tale aspetto.

Aggiornato il 24 febbraio 2018 alle ore 08:09