La sinistra di piazza che soffia sul fuoco dell’odio

L’ultimo sabato italiano è stato segnato da un’overdose di manifestazioni. In piazza ci sono andati tutti, o quasi. Da sinistra a destra. Più appropriato sarebbe dire: le sinistre e le destre. Perché se CasaPound e Forza Nuova non sono la stessa cosa di Fratelli d’Italia e Lega, altrettanto vale per la sinistra che a Milano ha parlato con la lingua degli antagonisti dei Centri sociali e degli estremisti di “Potere al Popolo”, mentre a Roma si è affidata alla “forza tranquilla” dell’Anpi e della Cgil per dire “mai più fascismi”. E poi da qualche parte, nella Capitale, si è udita anche la voce solitaria dei Cobas che ha intonato cori contro il Jobs Act e le politiche d’accoglienza degli immigrati.

Tutto è scorso per il meglio, senza incidenti di rilievo anche se il tentativo di scatenare la guerriglia urbana da parte dei “bravi ragazzi” dei Centri sociali c’è stato. In particolare a Milano, dove l’occasione d’impedire a Matteo Salvini e a Simone Di Stefano, comandante in seconda dell’armata di CasaPound, di tenere pacificamente i loro comizi era troppo ghiotta per lasciarsela scappare. Tutto bene, dunque? Neanche per idea. Del giorno delle manifestazioni annunciate resta un retrogusto amaro, sgradevole, generato dal sospetto che a sinistra si stia preparando qualcosa di molto pericoloso per la stabilità democratica del Paese. Ci riferiamo alla manifestazione unitaria di Roma, promossa contro il ritorno del fascismo. Già il tema della chiamata alla piazza appare a dir poco surreale. Ma chi, avendo un minimo di senno, può realmente pensare che vi sia il ritorno di fiamma per gli anni del “Ventennio”? Eppure, la sinistra sta montando una strategia della tensione in versione aggiornata per spingere gli italiani a dividersi su un tema della nostra storia passata che meriterebbe di essere archiviato una volta per tutte. Perché lo fa? Hanno ragione coloro che le contestano di essere affetta da insipienza politica e morale. Esauriti gli argomenti, non avendo alcuna capacità di offrire una prospettiva alla società che abbia la dignità di una visione del futuro, abbandonati a se stessi i blocchi sociali un tempo considerati diretti riferimenti per le sue politiche progressiste, la nuova sinistra ”borghesuccia”, perfettamente impersonata dalla figura iconica della presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, s’inventa letteralmente la minaccia fascista per darsi un contenuto di campagna elettorale che, diversamente, mancherebbe del tutto. Siamo certi che sia così.

Tuttavia, com’è possibile non valutare le conseguenze del fomentare uno scontro ideologico nel Paese? A meno che non sia proprio questo il fine ultimo al quale i dirigenti di “Liberi e Uguali”, punta di diamante della nuova sinistra, stiano pensando per organizzare un’opposizione di piazza, preconcetta, al futuro governo che sarà, con ottime probabilità, di centrodestra. Vivendo il reale con senso d’insopportabile superiorità antropologica nei confronti del nemico politico, i pifferai magici della sinistra borghesuccia, in questo fedelmente coadiuvati dallo stuolo di “cani da salotto” del circuito mediatico politically correct che fa loro ala, non intendono piegarsi al risultato delle urne. Dietro un richiamo ideale profondamente ipocrita emerge la cifra dell’opposizione di domani. Per niente costruttiva, ma proditoriamente demolitrice tout court. Assisteremo a una sorta di riedizione degli anni dell’antiberlusconismo viscerale, rievocati con altri mezzi e con altre parole d’ordine. È questo che dobbiamo aspettarci d’ora in avanti? Che qualsiasi cosa faccia o proponga un governo di centrodestra per migliorare le condizioni di vita degli italiani, costoro risponderanno aizzando la piazza e scatenando la violenza con il pretesto dell’antifascismo militante? Sono talmente presi dall’arroganza del potere che del benessere dei connazionali e soprattutto della loro sicurezza non gliene frega niente. Ma se è chiaro l’intendimento della nuova sinistra borghesuccia, ciò che stupisce è il comportamento ondivago del Partito Democratico che alla fine si è accodato a questo progetto nichilista, facendo capolino con i suoi massimi dirigenti, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, nel retropalco della manifestazione romana per le solite photo opportunity con gli organizzatori. In precedenza, era stata apprezzata la decisione di non inasprire i toni sulla lunare questione del ritorno del fascismo all’indomani dei fatti di Macerata. La scelta del Pd di non partecipare a una sedicente manifestazione “antifascista”, nella città marchigiana, che avrebbe avuto come unico scopo quello di aizzare gli animi, è apparsa di buon senso. Evidentemente la paura di perdere voti a sinistra ha spinto i vertici del Nazareno a rivedere la posizione consigliandogli di marcare presenza nel sabato romano. Una retromarcia che potrebbe essere il preludio al ritorno del Pd sotto l’influenza di quella sinistra borghesuccia che dal “Sessantotto” in poi non ha smesso di puntare all’egemonia sul mondo progressista. Se così fosse sarebbe un gran guaio non per il centrodestra ma per il Paese tutto.

Abbiamo creduto, sbagliando, alle parole di Matteo Renzi quando enfatizzava il coraggio del Partito Democratico nell’aver saputo fare i conti con il proprio passato. Ma viene il dubbio che sia stata una farsa, in perfetto stile renziano, e che adesso il partito, per dirla con un’espressione di Bertolt Brecht richiamata di recente da Marcello Veneziani sulle pagine de “Il Giornale”, torni “a sedersi dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati”.

Aggiornato il 27 febbraio 2018 alle ore 12:36