Dove sono finiti gli elettori di Mario Monti?

mercoledì 28 febbraio 2018


Di questa campagna elettorale, segnata dalla caccia all’ultimo voto contendibile, sorprende che non si sia fatto sufficiente cenno alla sorte toccata ai non pochi elettori che alle politiche del 2013 riposero la loro fiducia nella scombiccherata compagnia messa insieme in poche settimane da Mario Monti, all’epoca presidente del Consiglio uscente. Il fatto che la coalizione si sia sciolta come neve al sole ha fatto dimenticare che, comunque, raccolse parecchi voti nelle urne. Il suo successo servì lo scopo principale per il quale era sorta: sbarrare la strada al ritorno di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi. Obiettivo centrato, se è vero che i 125.792 voti che separarono, nel risultato dell’elezione per la Camera dei deputati, il centrodestra dal centrosinistra erano ampiamente contenuti nelle 3.591.541 preferenze ottenute dalla coalizione montiana.

È bene ricordare che il “Porcellum”, la legge elettorale oggi abrogata ma in vigore nel 2013, consegnava alla coalizione vincente alla Camera anche con un solo voto di differenza un consistente premio di maggioranza. L’operazione pensata e realizzata da Mario Monti non aveva alcun respiro politico ma soltanto un ridotto orizzonte tattico. Prova ne è stata la sua liquefazione nel corso della legislatura appena conclusa. Il fatto che la maggior parte dei parlamentari eletti siano confluiti nel Partito Democratico non deve trarre in inganno sulla composizione del bacino elettorale conquistato. La lucida perfidia del neo-senatore a vita prestato dall’Università Bocconi ai complotti di palazzo si è inverata nella capacità d’ingannare gli italiani rastrellando consensi dalla platea della destra moderata per mandare in Parlamento una pattuglia di finti “tecnici” e cosiddette personalità della società civile di solide radici culturali nella sinistra progressista. Ma andiamo con ordine.

Quando parliamo di coalizione montiana in realtà dovremmo riferirci quasi esclusivamente alla performance di “Scelta Civica”, il partito creato da Mario Monti per assicurarsi un seguito parlamentare, dal momento che gli altri due partner, l’Udc di Pier Ferdinando Casini e Lorenzo Cesa e Futuro e Libertà di Gianfranco Fini, uscirono letteralmente distrutti dall’abbraccio mortale con il “Professore”. Dei 3.591.541 voti alla Camera, dove i partiti si presentavano ciascuno con i propri simboli benché associati in coalizione, 2.823.842 sono andati a Scelta Civica, mentre 608.321 all’Udc e 159.378 a Fli. Ricordiamo bene che quello 0,47 per cento raggranellato da Gianfranco Fini e dai suoi ne ha segnato la fine politica nel modo più inglorioso. L’Udc, invece, è riuscita ad ottenere per sé 8 seggi parlamentari che le hanno consentito di restare della partita. Tant’è che Lorenzo Cesa, liberatosi dell’ingombrante presenza di Casini nel frattempo trasmigrato in una posizione subalterna alla sinistra, ha deciso di riportare i suoi nell’alveo del centrodestra. Oggi è in corsa per la vittoria in associazione temporanea d’impresa con la squadra di “Noi con l’Italia”, capitanata dal duo Raffaele Fitto-Maurizio Lupi.

A questo punto il problema è nel recupero di quel consistente pacchetto di voti che è stato per qualche giorno - il tempo necessario per compiere la missione assegnata - di Scelta Civica. Non si tratta di persone di sinistra. È però improbabile che vengano risucchiati nell’orbita di Forza Italia. Se nel 2013 hanno abbandonato la guida di Berlusconi perché oggi dovrebbero farvi ritorno? È oltremodo improbabile che possano compiere scelte di tipo radicale rivolgendosi alle offerte politiche di Fratelli d’Italia e della Lega. Ma neanche agli antisistema dei “5 Stelle”. Se seguirono in buona fede Monti è perché speravano in un governo di competenti. Come potrebbero mettersi nelle mani di una banda di grillini dilettanti? Allora a salvare la capra del voto utile che scongiura il riflusso nell’astensionismo e i cavoli del centrodestra potrebbe servire allo scopo proprio la formazione liberal-popolare del patto “Noi con l’Italia-Udc”. Un punto a favore di questa soluzione è dato dalla presenza nella squadra fittiana di quella sparuta pattuglia di parlamentari provenienti da Scelta Civica che non sono finiti nel Pd. Il loro leader è Enrico Zanetti, personalità spigolosa ma perbene, che ha conservato la segreteria del partito guidandolo alla confluenza nel nuovo soggetto politico. Ora, la domanda è: oltre al simbolo, Zanetti riuscirà a trascinare nello schieramento di centrodestra almeno una parte significativa di quei quasi 3 milioni di elettori che votarono Mario Monti nel 2013? La questione non è di dettaglio, visto che ancora una volta la vittoria sarà contesa sul filo di lana.

Non solo nel proporzionale ma, particolarmente, nelle sfide dirette nei collegi dell’uninominale. L’apporto degli ex di Scelta Civica in combinata con i vecchi compagni di viaggio dell’Udc potrebbe essere determinante almeno in due aree del Paese: nelle circoscrizioni del Nord dove la coalizione ex montiana raggiunse, alla Camera, un ragguardevole 11,72 per cento, con 1.869.000 voti e nelle regioni del Sud peninsulare dove ha toccato il 10,98 per cento con 702.481 voti. Se c’è da qualche parte una giustizia divina bisogna sperare che ciò che valse per Giobbe valga oggi per le umane genti della politica italiana: ciò che il Signore dà, il Signore toglie. Mario Monti con un’operazione menzognera tolse voti e speranze al centrodestra. Potrebbe essere giunto il giorno della nemesi e quello che fu fraudolentemente scippato ora viene restituito ai suoi legittimi rappresentanti. Dio benedica gli elettori che si ravvedono!


di Cristofaro Sola