M5S: una vittoria alle porte

Tempo di elezioni, c’è chi vince e c’è chi perde. Sullo sfondo di quella che con estrema probabilità è e sarà la nuova guerra a Matteo Renzi per mandarlo a casa, come ricordava il direttore, si staglia, per non pochi osservatori, un successo dei pentastellati se non addirittura una loro vittoria. E si dice, nel caso, di vittoria, con una percentuale più alta di quelle altrui, perché i grillini godrebbero innanzitutto del diritto di ottenere da Sergio Mattarella l’incarico di formare una maggioranza e, successivamente, di governare il nostro Paese. La democrazia funziona così. Ma le cose “politiche” stanno così? Vediamo.

Innanzitutto la cosiddetta politica dei pentastellati, a cominciare non tanto o non soltanto dalle magre figure dei loro sindaci in grandi città che li avevano gratificati incautamente di troppi voti, ma dalle proposte del duo Grillo & Casaleggio - che scriviamo come una ditta vera e propria per le note evidenze casaleggiane - a proposito di programmi. Ma va da sé che una visione programmatica e progettuale degna di questo nome è inutile cercarla attraverso Luigi Di Maio, sia per via dell’impostazione puramente protestataria del movimento, sia, in questi giorni, per l’ondeggiare dimaiano da una posizione all’altra, sfiorando a volte un andreottismo peraltro dal piombo nelle ali per il dilettantismo dell’imitatore. Il fatto è che dietro il faccino fotogenico di un Di Maio sempre in giacca e cravatta, si vedono altri faccioni, per primo quello di un Beppe Grillo che sembra, dico sembra, avere appeso al chiodo gli scarponi di quel “vaffanculo” decennale che l’ha coperto di consensi in favore di un’ipotesi abbastanza ridicola se non irreale di genere governativo. Una sorta di passaggio dal diretto “vaffanculo!” a un’indiretta “presa per il c...”, ma siamo sempre lì. E ci scusiamo coi lettori.

Siamo sempre nei paraggi di un grillismo i cui principi di lotta ai corrotti, mafiosi, ladri, criminali, e assassini del bene comune, ovvero tutti gli altri politici, sono gli urlati No Tav, i gridati No Tap, gli sbandierati No Vax, le minacciate fuoriuscite da Euro e Europa, la risibilità nei confronti della Nato e delle nostre storiche alleanze; un sottofondo evidente e mai negato di un anti-Israele preoccupante, e chi più ne ha più ne metta.

Perché, al di là della (finta) moderazione di un Di Maio - che non pochi mass media hanno incensato insieme a un grillismo meritevole delle critiche più puntali e puntute salvo ora lanciare allarmi sul pericolo di un governo dell’antipolitica - il “Vaffa rimane nell’anima del movimento, anche se Grillo ora scappa forse spaventato dalla stessa macchina di insulti che ha generato, e tira i remi in barca e cerca di calmare le truppe quando ormai sono così galvanizzate da non avvertire alcun richiamo” (Francesco Maria Del Vigo) finendo in una specie di area tanto ricca di contraddizioni quanto avara di uno straccio di proposte .

In realtà Grillo, pur lasciando intendere che si distacca dal suo M5S, le parole d’ordine del movimento restano le sue, sia pure condite dal risibile andreottismo di Luigi Di Maio.

Il quale ha lanciato a puntate il nuovo governo su consiglio, pare, del capo della famosa Rousseau che è (non a caso) il sistema operativo del Movimenti 5 Stelle per sfruttare, gratuitamente, una ampia visibilità sui media che hanno sorvolato, more solito, sull’identità politica di certi ministri in pectore, dal professor Lorenzo Fioramonti con un piede nel Partito Democratico al dottor Armando Bartolazzi, medico per la Sanità, al professor Andrea Roventini, designato nientepopodimeno che all’economia. Che è un settore chiave, nazionale, europeo, mondiale.

Da una scorsa al curriculum vitae di Roventini apprendiamo che è “docente della Scuola Sant’Anna di Pisa e che si definisce ‘keynesiano critico’ ma le sue idee farebbero impallidire il peggior Marx” (Il Giornale). Non solo, ma è critico acceso del neoliberismo manifestando apertamente la sua contrarietà a ogni tipo di privatizzazione. È un teorico del concetto di “economia espansiva” con tanto di investimenti pubblici in ogni ambito. Auguri!

Ci fermiamo qui e chi andrà alle urne domani, tolti i fanatici, sa che il suo voto è una risposta libera e democratica per la crescita sociale, civile, economica, culturale di un Paese che non è del terzo mondo. E non lo sarà, checché ne dica il risolino alla Di Maio. Ride bene chi ride ultimo!

Aggiornato il 03 marzo 2018 alle ore 08:03