Il rebus delle maggioranze impossibili

Il day after elettorale annuncia un sostanziale stallo. Nessuna area politica ha i numeri per assicurare una maggioranza parlamentare ad un proprio governo. Tocca al presidente della Repubblica provare a sbrogliare la matassa. Ma il compito è tutt’altro che agevole. La mossa spiazzante del “dimissionario” segretario “Dem”, Matteo Renzi, di collocare il partito all’opposizione, come ultimo atto della sua stagione politica, chiude la porta a qualsiasi ipotesi di larghe intese. La realtà è che tutti i player in campo, di là dalle roboanti dichiarazioni di facciata, sono consapevoli del fatto che la legislatura che sta aprendosi sia destinata a durare poco. Sembra essere tornati ai tempi dei giochi adolescenziali quando si praticava il ballo della candela. Le coppie danzavano scambiandosi una candela accesa. Al termine del giro di ballo quella che restava con la candela in mano aveva perso.

Tanto Luigi Di Maio quanto Matteo Salvini, benché abbiano gran voglia di salire sul tram della storia che, oltre ogni previsione, gli ha aperto le porte, non vogliono bruciarsi forzando la mano per una soluzione temporanea che rischierebbe di penalizzarli pesantemente nel caso più che probabile si ritornasse alle urne a breve termine. Troppe le promesse fatte in campagna elettorale per ripresentarsi agli italiani con un cesto vuoto. Ragion per cui, al momento, la sola strategia praticabile per entrambi è quella del temporeggiatore. Siamo al surplace ciclistico: Matteo Salvini fermo alle spalle di Luigi Di Maio in attesa che questi ceda accogliendo gli inviti a negoziare un’intesa di governo con un “improvvisamente amico” Partito Democratico. Che poi sarebbe la versione “derenzizzata” quella che si acconcerebbe a stringere patti con l’odiato Cinque Stelle. Non si tratta di generosità, categoria concettuale pressoché sconosciuta alla politica, ma di un perverso gioco di specchi, condotto mediante la pattuglia parlamentare del Pd, col quale intrappolare e ”normalizzare” l’arrembante movimento grillino.

Un abbraccio mortale sollecitato da quei “poteri forti” che si sono affrettati a saltare sul carro degli apparenti vincitori alla velocità della luce. Sarebbe uno scenario da incubo che regalerebbe al Paese il peggiore governo possibile. Una miscela scomposta di populismo ed europeismo subietto, tenuta insieme dall’ambizione del potere: degli uni di conquistarlo per la prima volta, degli altri di trattenerne a sé qualche brandello. Se ciò dovesse accadere, al centrodestra non resterebbe altra strada che l’opposizione dura nelle aule parlamentari e nelle piazze. Matteo Renzi, che sarà pure arrogante ma non è stupido, ha ben compreso quale pericolo si celi dietro una simile soluzione.

Ecco perché vuole tenere ciò che resta del suo Pd lontano dal richiamo ferale delle sirene confindustriali che oggi intonano inni alla potabilità dei Cinque Stelle. È proprio vero, certe lobby non si smentiscono mai: Franza o Spagna purché se magna. Ma qualche perplessità deve aver colto anche l’inquilino del Quirinale. Il presidente Sergio Mattarella, marcando una differenza di stile dai suoi predecessori, non si cimenterà nello scouting parlamentare per provare a costruire una maggioranza intorno ai Cinque Stelle. D’altro canto, ha già un bel problema riguardo alla scelta della parte alla quale conferire per prima l’incarico di formare il governo.

Checché ne dica Di Maio non sono i Cinque Stelle i vincitori assoluti della partita elettorale con i 10.727.567 voti raccolti per la Camera dei deputati, ma lo è il centrodestra che di preferenze ne ha ricevute 12.147.611 (dati provvisori). Cioè 1.420.044 in più. Il capo dello Stato non può ignorare il dato come d’altronde non può ignorare l’anomalia della distribuzione del consenso che si è registrata la scorsa domenica per la prima volta nella storia repubblicana. Nelle precedenti esperienze elettorali le forze vincitrici vedevano il loro consenso distribuito in modo omogeneo sul territorio nazionale. Questa volta, invece, l’Italia si è letteralmente spaccata in due. Il Nord e gran parte del Centro hanno dato la maggioranza dei suffragi al centrodestra, il Sud e una porzione minoritaria del Centro hanno scelto in larga misura il Movimento Cinque Stelle. Sebbene in democrazia i voti valgano tutti allo stesso modo, tant’è che si contano e non si pesano, tuttavia nel momento in cui si passa alla fase della formazione del governo entrano in gioco criteri valutativi che integrano il mero fattore quantitativo. Perciò, che a votare il centrodestra sia stata la parte più popolosa e produttiva del Paese ha un suo peso.

Il presidente Mattarella deve ponderare con la massima attenzione l’eventualità di porre alla testa del potere esecutivo un personaggio grillino che non ha ricevuto la fiducia dell’Italia più reattiva, mandando simultaneamente all’opposizione l’altra che, al contrario, ha rappresentato efficacemente le istanze di quel popolo. La pallina adesso corre nella roulette. Prima che si fermi ci vorrà tempo. Attendiamo fiduciosi.

Aggiornato il 08 marzo 2018 alle ore 08:01