La democrazia cristiana di Luigi Di Maio

L’autoesclusione del Partito Democratico dall’area di governo e la contrarietà di Matteo Salvini al “governo di tutti” ventilato da Silvio Berlusconi, sembrerebbero lasciare una sola strada: l’accordo Lega-M5S. Ma il percorso è praticabile?

L’unica evidenza del post-elezioni è che, di fronte all’assenza di maggioranze precostituite, l’esito della consultazione del 4 marzo rappresenta soltanto la prima tappa di un articolato percorso che è destinato a descrivere l’inedita geografia del nuovo Parlamento della Terza Repubblica, in un clima che, a una settimana dal voto, è già da campagna elettorale. Il sistema proporzionale con cui si è votato, è stato pensato per agevolare la formazione di maggioranze trasversali tra i partiti “europeisti” (soprattutto Pd e Forza Italia), dotati di solidi riferimenti nel Parlamento europeo e contro i cosiddetti populismi-sovranismi. Ma il corpo elettorale ha bocciato, senza via di scampo, questa prospettiva.

Ci sono due vincenti sicuri e due perdenti: Lega e Movimento 5 Stelle da una parte, Pd e Forza Italia dall’altra. Ci si domanda, le due forze vincenti, accomunate da palesi manifestazioni di populismo, avendone i numeri, possono trovare un accordo per dare vita al governo della XVIII Legislatura? Numericamente sì, politicamente no. Perché, sulla questione cruciale dell’Europa, tra Lega e M5S, dopo un’iniziale comunanza di vedute, sono cresciute due posizioni non facilmente componibili. La Lega s’ispira al Front National (oggi Rassemblement National), che fa della Nazione il proprio emblema. M5S invece pare aver abbandonato gli originari propositi anti-Euro e anti-Europa. Del resto, la scelta di lasciare il gruppo di Nigel Farage per trasmigrare nel gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali (Alde) è fallita per cause altrui. Se si vuole intravedere il quadro delle possibili alleanze di governo, la prospettiva europea non mi pare trascurabile.

Alle ragioni “ideologiche” si sommano non secondarie ragioni strategiche che, al di là degli appelli alla responsabilità, non potranno che condizionare i partiti vincenti, con un occhio già all’appuntamento della prossima, non lontanissima, tornata elettorale. Per confermare e consolidare la propria egemonia sul fronte di destra, la Lega è pronta a un accordo con M5S, per spartire la presidenza dei due rami del Parlamento. Ma, per il resto, sa perfettamente che Di Maio Premier sarebbe troppo insidioso per la concorrenza. Nemmeno Di Maio pare troppo interessato a una formula di governo con il solo Salvini. Innanzitutto perché si tratterebbe di un governo totalmente estraneo alle grandi famiglie europee, ostili a Salvini tanto quanto a Marine Le Pen e al Gruppo di Visegrád. Inoltre perché, per un movimento che pesca consensi sia a destra che a sinistra, la relegazione nell’ambito della destra populista sarebbe troppo stretta.

Nella sobrietà dei tratti, Di Maio pare un giovane notabile di scuola democristiana. Né destra, né sinistra, ma di tutto un po’. Anche Beppe Grillo nelle sue ultime apparizioni ha teorizzato questa caricatura del movimento. Ovviamente la citazione di Alcide De Gasperi non basta per iscrivere il Movimento 5 Stelle nell’ecumenismo democristiano, ma, nella stretta della formazione del governo, quando, in seconda battuta, l’incarico potrebbe passare a Luigi Di Maio, allora si vedrà veramente se il ragazzo di Pomigliano d’Arco ha la stoffa del democristiano.

Aggiornato il 15 marzo 2018 alle ore 10:59