L’arroganza di Luigi Di Maio nasconde debolezza

Luigi Di Maio non vuole il governo di tutti perché punta al governo di nessuno, cioè al ritorno alle elezioni nel minor tempo possibile. Ovviamente allo scopo di fagocitare quello che resta della vecchia sinistra e di una parte del Partito Democratico in stato di confusione e scavalcare trionfalmente il tetto del 32 per cento fino ad arrivare almeno al 40 per cento dei consensi nazionali.

La sola alternativa che il capo politico del Movimento Cinque Stelle prevede all’ipotesi del ritorno immediato alle urne è quella del governo monocolore grillino appoggiato esternamente e senza condizioni dalle altre forze politiche. A suo dire questa è la sola e vera indicazione espressa dagli elettori. E i partiti diversi dal suo non dovrebbero fare altro che prenderne tranquillamente atto uscendo dai loro bunker con le mani alzate.

Definire arrogante la pretesa di Di Maio è scontato. Il capo politico del M5S chiede ai partiti concorrenti la resa a discrezione minacciandoli in caso contrario di andare alle elezioni anticipate e di non fare prigionieri. Ma questo eccesso di arroganza e di tracotanza nasconde un elemento di debolezza nella posizione del capo grillino. Una debolezza che non dipende solo dai numeri (il 32 per cento non è la maggioranza del Parlamento, ma una minoranza che da sola non è in grado di imporre nulla, tantomeno il ritorno immediate alle elezioni). Ma nasce dalla considerazione, di cui Di Maio non può non essere cosciente, che il suo esercito di deputati e senatori non è una falange compatta come l’acciaio pronta anche a liquefarsi con la legislatura pur di seguire gli ordini dei capi supremi del movimento. I deputati e i senatori grillini sanno benissimo di aver vinto la lotteria di Capodanno entrando a Montecitorio e a Palazzo Madama e sanno ancora meglio che una fortuna del genere ricapita due volte nella vita solo a pochissimi fortunati. Quanti di loro sarebbero pronti a seguire Di Maio nella scelta di dare corpo alla minaccia di elezioni anticipate? E quanti lo abbandonerebbero all’insegna del “tengo famiglia” e “senso di responsabilità”?  

L’arroganza, allora, è un segno di debolezza. E i partiti che rappresentano il 68 per cento del Parlamento farebbero bene a tenerne conto nelle prossime settimane. Non è affatto detto che rimanere per altri cinque anni all’opposizione preparerebbe i grillini alla vittoria finale!

Aggiornato il 17 marzo 2018 alle ore 08:17