M5S: ne vedremo delle belle

Movimento 5 Stelle: noi non vorremmo affatto dargli del “partito-azienda”, come per anni e anni si sono dilettati i molti contro Forza Italia. Noi tendiamo a non semplificare le cose e già nella definizione di “partito azienda” – e nel suo uso politico – si assiste più che a una semplificazione a una riduzione, la classica reductio a unum, cioè al leader unico.

Certo, l’abuso per Forza Italia della subcategoria di appartenenza ha inficiato non poco l’impulso polemico implicito, simile assai più a una liquidazione che a una minimalizzazione. Eppure la presenza costante di Davide Casaleggio in quella che chiameremmo allure pentastellata è stranota oltre che visibilissima. E non da oggi, si capisce. Il fatto è che Casaleggio, prima il padre e ora il figlio e comunque e sempre la società omonima, è non solo o non tanto un grillismo che sa permeare di sé un contenitore politico, quanto e soprattutto una personalizzazione-personificazione di un movimento secondo uno schema rivisto e aggiornato.

L’accusa (una sorta di insulto) di partito-azienda sintetizzava, ai tempi berlusconiani, lo schema polemico liquidatorio degli avversari di sinistra del Cavaliere e, se pure una verità addirittura ovvia vi era implicita, l’ingiuria senza discussione ne svelava la malevolenza di chi tira in ballo un sottomovente per giustificare le proprie incapacità.

Diciamocelo: Forza Italia non era e non è un partito-azienda nel significato letterale del termine. Forza Italia, fin dalla sua nascita dalle ceneri giudiziario-giustizialiste della Prima Repubblica, non traeva la sua ragion d’essere politico organizzativa dalle televisioni e dalle aziende del Cavaliere, soprannominato nelle campagne lombarde come “il padrun de la melunera”, il padrone del negozio di frutta e verdura. Era, molto più semplicemente e pure semplicisticamente, il partito di Berlusconi. Il quale, sempre pimpante nella sua rentrée ricca di promesse ma anche di spunti provocatori, ha bensì compiuto il giro di boa degli ottant’anni, ma è stato abile e tempestivo nell’inserirsi fra Matteo Salvini e Luigi Di Maio rompendo le uova nel paniere con una finta apertura ai pentastellati che ha rimesso in pista sia lui che il suo partito e posto coi piedi per terra lo stesso Salvini, già proiettato verso Palazzo Chigi. Quando si dice: i conti senza l’oste.

Ora tocca, meglio dovrebbe toccare, all’analogo partito di Beppe Grillo, fondatore, padrone e attore di quel M5S se non fosse che, ogni giorno che passa, un altro nome, un’altra star, un altro padrone sta consolidandone una presenza sempre più palpabile e sempre più decisiva. E non è secondaria una neo-definizione di partito-azienda di Casaleggio proprio nel più storico significato del termine anche e soprattutto perché la voluta assenza nei grillini di una sorta di volontà di ideologia e men che meno di programma, riassunti entrambi nella volontà di protesta, li mette ora di fronte a compiti istituzionali se non governativi dove questo tipo di volontà ha ben poco a che fare, anzi.

E se ne vedranno delle belle, o brutte. Del resto, se osserviamo i dati dell’ultimo referendum del sì e del no e prendiamo in esame i risultati nel Meridione del paese, vediamo che laggiù (come si dice qui al nord) il settanta per cento circa ha votato “no” e non è del tutto esagerato definire il voto come un no a qualche (qualsiasi?) cambiamento. Forse è anche un riflesso condizionato di un hic manebimus optime per via delle assistenze pubbliche verso un Meridione non molto amante dell’Europa, ma va pur detto che questo sistema non può durare all’infinito. Salvini o Di Maio al governo, anche il nostro sud ne vedrà, come sopra, delle belle.

Davide Casaleggio intanto prosegue nel solco del fondatore, ma con variazioni sul tema che saranno visibili sempre di più, soprattutto con un M5S che ha preso vagonate di voti. Ma, a uno sguardo un po’ più attento, il passaggio dal grillismo al casaleggismo non soltanto sarà di puro automatismo ma avrà a che fare con questioni e risposte in cui nessun genio della pubblicità e del marketing, e men che meno Casaleggio (con allegata azienda), ha la soluzione in tasca. E non parliamo di questioni qualsiasi ma, tanto per dirne una squisitamente politica, del vincolo di mandato. Per il nuovo “padrun de la melunera” grillina questo vincolo è un imperativo categorico, di quelli di Emmanuel Kant. Una volta eletti non si cambia casacca, guai ad abbandonare la vecchia per una nuova, insulti e parolacce agli eventuali traditori, ecc ecc..

Ma in che film?

Aggiornato il 23 marzo 2018 alle ore 10:15