Che succede in Forza Italia?

Il primo passaggio della legislatura che prevedeva l’elezione dei presidenti dei due rami del Parlamento si è concluso positivamente. L’intesa tra il centrodestra e il Movimento Cinque Stelle ha consentito di fare presto e bene. Che poi è ciò che chiedono gli elettori, stufi dei disperanti tatticismi della politica politicante. Patti rispettati per rappresentare fedelmente la volontà espressa dagli italiani il 4 marzo. Il presidente del Senato al centrodestra, quello della Camera dei deputati ai Cinque Stelle. Alla “Camera alta” è stata votata una donna, espressione di Forza Italia. La senatrice Maria Elisabetta Alberti Casellati ha un eccellente profilo politico, essendo persona dal solido ancoraggio nella destra conservatrice. Il che è un bene dopo gli anni dell’ubriacatura terzomondista-giustizialista del duo Grasso-Boldrini che ha conculcato il sentire maggioritario del Paese.

Ma il primo appuntamento parlamentare ha fornito anche l’occasione per uno stress-test sulla tenuta della coalizione di centrodestra a guida leghista. In complesso si può dire che la verifica abbia dato buon esito, nonostante gli inciampi nell’iter della trattativa. Sappiamo com’è andata. Salvini ad un certo punto ha rotto l’unità del centrodestra che, nelle intenzioni dei dirigenti forzisti, avrebbe dovuto muoversi compatto nel sostegno alla candidatura alla presidenza del Senato di Paolo Romani. A fronte del veto dei grillini sull’esponente forzista, Silvio Berlusconi aveva chiamato gli alleati a una prova estrema di fedeltà che non c’è stata.

Dopo lo smarcamento di Matteo Salvini in molti in Forza Italia hanno gridato al tradimento. Giudizio impegnativo, stemperato soltanto al termine di un lungo confronto notturno dalla ritrovata unità della coalizione sul nome della senatrice Casellati. Per il centrodestra è stato comunque un successo. Ma poteva essere evitato lo spettacolo della Lega che si sfila dagli accordi per poi ritornare al tavolo comune? Probabilmente no. Perché la vicenda del veto pentastellato a Romani aveva innescato un inopportuno quanto improvvido braccio di ferro all’interno del centrodestra. Che il malessere per il cambio di leadership della coalizione covasse sotto la cenere si era ampiamente capito.

Troppo forte e ingombrante la personalità del leader storico Berlusconi per riadattarla agevolmente al ruolo di spalla dell’emergente Salvini. Che tra i dirigenti di Forza Italia vi fosse voglia di una prova di forza per ridimensionare il giovane leghista era chiaro. L’occasione per provarvi si è offerta con l’incidente di percorso su Romani. Arroccarsi sul suo nome chiedendo agli alleati di allinearsi alla decisione è stato un modo per saggiarne il grado di subordinazione alla volontà berlusconiana.

Mai calcolo è stato più sbagliato perché Salvini ha sì disatteso il patto ma non per tornaconto di bottega leghista o per favorire un cambio di alleanze in corsa, quanto per il bene della coalizione stessa. Ha forse tradito Salvini? Alla luce dei risultati si direbbe di no. È forse tradimento il gesto di colui che blocca, senza avvisarlo, la vettura dell’amico che sta correndo a schiantarsi in un burrone? Lasciamo volentieri il dilemma etico ai filosofi. Resta il fatto che un arroccamento senza alternative sul nome di Paolo Romani avrebbe spinto i grillini a una contromossa pericolosa: annunciare il sostegno a una candidatura di alto profilo di un esponente del Partito Democratico. Cosa sarebbe accaduto in fase di ballottaggio alla quarta, o quinta, o sesta votazione? Per quante volte i “dem” avrebbero resistito alle profferte di Luigi Di Maio? A quel punto il centrodestra avrebbe rischiato di perdere tutto: la presidenza del Senato, di rimbalzo una chance per quella della Camera nonché la centralità nella partita per la composizione del nuovo governo. Salvini da pragmatico si è sfilato dalla prova di forza costringendo Forza Italia alla retromarcia. È così che ha vinto la sfida risolvendo a suo vantaggio il dilemma su chi abbia l’ultima parola nella coalizione. Ma era proprio necessario scegliere di duellare con l’alleato sebbene non si avesse la certezza di vincere?

L’impressione che si coglie dallo svolgimento paradossale di questa vicenda è l’inadeguatezza della classe dirigente forzista che fa da contorno al leader Silvio Berlusconi. Un recupero di consenso è ancora possibile a patto però che Forza Italia in tutte le sue articolazioni si riconnetta con la realtà. Sappia interpretarla vivendola da dentro e non osservandola dalle lontane stanze del potere di corte. È avvilente che dopo lustri trascorsi sulla cresta dell’onda in compagnia del capo assoluto, ci si faccia dare lezioni di strategia dal giovane capo leghista. Ancora una volta toccherà a Berlusconi caricarsi sulle spalle la traversata nel deserto di casa sua per restituire a Forza Italia un futuro all’altezza della sua storia.

Aggiornato il 27 marzo 2018 alle ore 13:56