Di Maio vs Lincoln

Con il prepotente ingresso del Movimento 5 Stelle sulla scena politica, connotato da livelli di irrealtà mai visti prima, assistiamo a una sorta di preoccupante impazzimento collettivo. Follia che, come mi sforzo di ripetere da tempo, dovrebbe trovare la sua migliore terapia, per quanto dolorosa, nel consentire al Paese di sperimentare sulla propria pelle le inverosimili proposte di chi immagina di poter violare qualunque legge della fisica solo per il fatto di aver ottenuto un brillante risultato elettorale.

In questo senso, come ha argomentato per l’ennesima volta Luigi Di Maio nel salotto di Giovanni Floris martedì scorso, essendosi accaparrato un terzo dei voti validi lo stesso M5S avrebbe le carte in regola per realizzare il suo programma stellare. Un programma che, in estrema sintesi, prevede di ridurre la pressione fiscale e il debito pubblico – quest’ultimo del 40 per cento in 10 anni – abolire la Legge Fornero sulle pensioni e introdurre una valanga di nuove spese che alcuni autorevoli osservatori hanno calcolato in oltre 140 miliardi all’anno.

Di fronte alle obiezioni del conduttore, il quale ha cercato di portare il discorso sulle eventuali coperture per codesti fantascientifici propositi, il capo politico dei grillini ha utilizzato due argomenti che vanno assai per la maggiore nel mondo incantato degli asini volanti: la lotta agli sprechi e l’abolizione dei cosiddetti vitalizi. Ciò, rapportato al livello di un bilancio familiare, per chi conosce abbastanza le dinamiche della nostra complessa spesa pubblica nonché l’entità dei suoi principali capitoli, sarebbe come voler pagare il mutuo di un appartamento di 5 stanze risparmiando sugli stuzzicadenti.

Per quanto ci si voglia sforzare di fantasia e facendo uso di tutta la benevolenza del mondo, le tesi programmatiche dei pentastellati restano pervicacemente radicate in un altro mondo, tanto strampalate risultano essere sul piano della concreta fattibilità. In questo senso, Luigi Di Maio sembra voler sfidare in modo ancor più sfrontato di altri che lo hanno incautamente preceduto quella che potremmo definire come la legge di Abramo Lincoln, espressa nel seguente aforisma: “Potete ingannare tutti per qualche tempo, o alcuni per tutto il tempo, ma non potete prendere per i fondelli tutti per tutto il tempo”.

Gli italiani saranno pure abbastanza confusi e inclini a bersi le indigeste pozioni dei tanti demagoghi in servizio attivo permanente, tuttavia essi non ci mettono poi molto tempo a voltare repentinamente le spalle, come dimostra ad esempio la veloce parabola di Matteo Renzi, a chiunque venda illusioni spacciandole per solide realtà.

Ma se nel caso dell’uomo politico fiorentino possiamo rilevare l’eccessivo uso di una narrazione tutta basata su un ingiustificato ottimismo della ragione, in cui si è cercato di mostrare al popolo il bicchiere sempre mezzo pieno, nei confronti del genio di Pomigliano d’Arco il giudizio deve essere necessariamente più severo. I suoi innumerevoli tentativi di avvalorare un programma che riduce la pressione fiscale, abbatte il debito pubblico e distribuisce redditi a valanga è un’offesa all’intelligenza umana.

Aggiornato il 06 aprile 2018 alle ore 16:25