Il dito di Berlusconi nella piaga

lunedì 16 aprile 2018


La domanda vecchia come il cucco è sempre quella, e pure le risposta a proposito dei politici (ma non solo) e della loro realtà, essenza, verità quando appaiono in televisione o quando no. E non vale comunque quella sorta di consecutio temporis per cui sono veri quando sono falsi e sono falsi quando sono veri.

Il punto è che in assenza di apparizioni, meglio se parlate, di chi fa politica, costoro non conterebbero, esisterebbero o, per lo meno, se ne avrebbe un’immagine sbiadita, remota e, soprattutto, fumosamente ingombrante nel meraviglioso mondo delle immagini.

Divenute, loro sì, realtà. Naturalmente stiamo procedendo a balzi esemplari nella misura in cui, passando da un politico all’altro, da un leader all’altro, da un Matteo Salvini a un Luigi Di Maio e, ça va sans dire, a un Silvio Berlusconi, non occorre uno sforzo di Sisifo per riconoscerne la spettacolarità, per di più nel teatro della Polis più importante di questi giorni, ovvero il Colle del Quirinale. Naturalmente, come in ogni rappresentazione che si rispetti, troviamo l’attore unico, la coppia, il gruppo e l’inevitabile coro mediatico di cui la tivù è il tenore più acuto e più visto. E che lo spettacolo vada in onda proprio davanti al luogo che è a un tempo l’emblema del supremo potere e della storia patria, è ancor più significativo proprio nell’assenza o scarsissima visibilità del detentore di questo potere, cioè il Presidente della Repubblica che, nel caso di Sergio Mattarella è ancora più appartato e silente di quelli che l’hanno preceduto.

Intendiamoci, non siamo di quelli che lanciano critiche e oscure profezie a questo genere di teatralità anche e soprattutto perché in quegli atti, sia unici che plurimi, sia monoattoriali, sia specialmente negli entracte imprevisti e vuoi anche in quelli doppi o corali, va in scena e in onda ed entra nel nostra vita, e non soltanto una volta al giorno, né più né meno che logica della politica che, in democrazia, è composta da chi ha vinto e da chi ha perso e con le rispettive consistenze parlamentari. Abbiamo detto logica volendo intendere la volontà e, se del caso, le decisioni che verranno con il vantaggio, per il popolo, della visibilità, sia pure occasionale, di quanto va maturando.

C’è stata in questi giorni l’offerta, peraltro poco frequente, di una vera e propria coppia dei due vincitori Di Maio e Salvini, benché non abbia tutti i torti il risultato del 4 marzo indicando nel leader della Lega il detentore della maggioranza avendo la sua coalizione battuto sul traguardo dei voti il Movimento 5 Stelle.

Di fatto, grazie appunto allo spettacolo in onda dal Colle più alto, è la coppia dei due che ha riempito il canovaccio narrativo prefigurandone una soluzione politica con l’approdo al governo di entrambi, forse, anzi soprattutto per la consistenza numerica della necessaria alleanza che, nel caso di Luigi Di Maio è surrogata dall’unicità grillina; per Salvini comprende di certo la Meloni ma soprattutto il Cavaliere. Solo che in tutte queste rappresentazioni, con quel che segue sui mass media classici e nelle sedi per dir così partitiche, nella cosiddetta scena per l’appunto duale, i mattatori hanno attirato su se stessi la visibilità e l’audience che, nel caso di Salvini e grazie anche al suo stile per niente compunto ma ricco di discorsi brevi, battute ad hoc, uscite ad usum delphini, era per dir così propedeutica a quello che definiremmo un unicum, un unico, uno solo, cioè lui stesso. Una sorta di discorso pro domo sua, osserverebbe qualche critico cattivo con quella specie di atteggiamento per cui i francesi, assai acutamente, concludevano con l’intendance suivrà, gli altri verranno al seguito. Ma quando per gli altri si vuole intendere Silvio Berlusconi, è immaginabile che la frase d’Oltralpe lo lasci indifferente? Ma quando mai!

Infatti allorquando lo spettacolo si è allargato per così dire al terzo incomodo, costui non ha perso l’occasione non solo o non tanto per farsi vivo come commentano gli avversari ma per mettere il proprio dito, le proprie mani le proprie battute in quella che per lui è una vera e propria malattia della democrazia, cioè il grillismo di lotta e di governo. Quel suo “attenti a chi non conosce l’Abc della democrazia!” era in primis rivolto a Di Maio il quale, nel no secco e ripetuto a Berlusconi ci ha messo del suo in quanto a disprezzo per un avversario politico, ma subito dopo il messaggio era diretto a Salvini mettendolo in guardia sia sul deficit democratico grillino (vorrebbero governare col centrodestra ma escludendone il leader che ha ottenuto cinque milioni di voti) sia sulla considerazione, meglio sul fatto, che non può e non potrà governare da solo con Di Maio. E c’è un terzo a cui l’entracte berlusconiano era rivolto, ed è il Presidente della Repubblica. E non è così difficile supporre che la soluzione governativa migliore per Berlusconi sia un rispettabile e rispettato governo del Presidente.

Fine della rappresentazione. Per ora.


di Paolo Pillitteri