L’intesa Di Maio-Salvini non piace all’alta burocrazia

venerdì 11 maggio 2018


All’accordo tra Lega e Movimento 5 Stelle ci credono davvero in pochi. I più scettici si confermano gli alti dirigenti di Stato che, sotto voce, rammentano il monito di Ciriaco De Mita: lo storico leader della sinistra Diccì nel 1994 invitava a non collaborare con i governi della Seconda Repubblica. Questa volta non ci sono suggeritori, è la stessa “coscienza” del pubblico funzionario poco disposta a un bacio della pantofola verso le cosiddette “nuove forze rivoluzionarie” (carroccio e grillini).

Intanto i leader delle due forze politiche, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, hanno già ottenuto ventiquattr’ore ore di tempo dal Quirinale per verificare se ci sono le basi per un accordo su premiership e programma. Una pausa utile anche a Sergio Mattarella, che temeva un “governo neutrale” (del Presidente) potesse ancor più esacerbare l’animo del corpo elettorale più riottoso, ovvero le frange che da qualche anno cercano di portare in piazza le proprie ragioni. Mattarella non sa se i due leader (Salvini e Di Maio) questa volta fanno sul serio: anche se si trattasse dell’ennesimo bluff comunque la presidenza della Repubblica ha guadagnato tempo. Soprattutto Mattarella vuole dimostrare d’aver scelto un premier tecnico dopo aver esaurito ogni trattativa politica.

È comunque evidente che né la Lega né Movimento 5 Stelle (sia separatamente che insieme) offrano le garanzie necessarie al capo dello Stato come ai “poteri forti” dell’Unione europea: aspetto che lascia prevedere come l’alta dirigenza dello Stato non sia proprio desiderosa di collaborare. Anzi, per alcuni vertici istituzionali sarebbe la ghiotta occasione per bruciare sia Di Maio che Salvini.

Ne deriva che, nel governo M5S-Lega, il punto più caldo è il ruolo del futuro Presidente del Consiglio dei ministri. Punto su cui si confronteranno i due leader, ma è anche l’aspetto su cui si giocherà il favore dell’alta burocrazia. Mattarella avrebbe consigliato di trovare una figura terza rispetto ai due partiti, e per evitare ostacoli “istituzionali”. Ad oggi gli unici candidati premier “politici” graditi a Salvini e Di Maio sarebbero il leghista Giancarlo Giorgetti (capogruppo alla Camera), l’avvocato Giulia Bongiorno e l’economista Enrico Giovannini: ma sono già stati cassati dal Quirinale, che ha ricordato come non raccoglierebbero il plauso del Parlamento.

Ma la maggiore distanza tra grillini e leghisti è sui programmi, infatti Di Maio non condivide la linea del Carroccio sul “contrasto all’immigrazione” e la “detassazione per le imprese”, come Salvini non approva il “reddito di cittadinanza”: le uniche convergenze s’imperniano sulla revisione della “Legge Fornero”. Poi, per quanto riguarda i ministri, le uniche convergenze sarebbero per il leghista Giorgetti all’Economia. Mentre è gelo del Carroccio sulla proposta M5S di mettere il grillino Alfonso Bonafede alla Giustizia: del resto i 5 Stelle non gradirebbero il leghista Roberto Calderoli alle Riforme. Poi i grillini avrebbero già storto il naso alla proposta di far sedere al “dipartimento delle telecomunicazioni” il senatore leghista Armando Siri, e per via dei buoni rapporti con il leader di Forza Italia (Silvio Berlusconi).

Insomma, un accordo che fa già acqua, e serve solo a facilitare la scelta “tecnica” di Mattarella. Ed è forte la paura di un governo gradito ai poteri Ue: un Esecutivo che, oltre a reintrodurre l’Imu sulla prima casa, imporrebbe la tassa patrimoniale, il prelievo forzoso e retroattivo sui conti correnti e, dulcis in fundo, l’ipoteca su immobili pubblici e privati iscritta presso la Bce. L’unica certezza è che si sono esauriti i tempi tecnici per tornare alle urne nel 2018.


di Ruggiero Capone