L’informazione politica cade dal pero

Nell’immediatezza della caduta dell’ultimo ostacolo sulla strada trionfale del governo Lega-Movimento 5 Stelle, ossia il veto opposto al suo alleato di coalizione da Forza Italia, gran parte dell’informazione politica italiota è letteralmente caduta dal pero: ci si è magicamente accorti che le promesse elettorali di queste due formazioni politiche sono del tutto irrealizzabili. In primis perché le linee di fondo dei due leader protagonisti sembrano contrastare in modo irrimediabile, apparendo quasi impossibile conciliare il marcato assistenzialismo incarnato da Luigi Di Maio con l’opzione antifiscale, rivolta soprattutto ai produttori del Nord, espressa da Matteo Salvini. Ma oltre a ciò, così come molti commentatori risvegliatisi improvvisamente dal sogno del cambiamento hanno rilevato, è proprio la complessa e difficile condizione finanziaria del sistema pubblico che impedisce a priori di realizzare niente, ma proprio niente di ciò che leghisti e grillini hanno enfaticamente raccontato agli italiani prima del fatidico 4 marzo.

Questi campioni dell’informazione politica, quella che per capirci dovrebbe aiutare gli elettori a formarsi una visione critica sui programmi e gli orientamenti di chi chiede loro il voto, oggi hanno scoperto che solo per rimettere in sicurezza i nostri sempre precari conti pubblici occorrerà trovare nelle pieghe del bilancio del 2018 tra i 18 e i 20 miliardi di euro, evitando così i tanto paventati aumenti dell’Iva e delle accise sui carburanti.

Ma non basta; in merito alla tanto bistrattata Legge Fornero, che i due vincitori delle politiche insistono nel voler abolire completamente, ci si è accorti dell’impossibilità pratica di poterla mandare in soffitta. Tant’è che la stessa stampa nazionale, in larga parte assai distratta in campagna elettorale, ha riportato con una quasi unanime enfasi le parole del vicedirettore della Banca d’Italia Luigi Federico Signorini il quale, audito dalla Commissione speciale della Camera, si è così espresso: “La sostenibilità del debito pubblico italiano poggia in larga misura sulle riforme pensionistiche introdotte nell’arco degli ultimi decenni, che assicurano una dinamica degli esborsi in complesso gestibile nonostante l’invecchiamento della popolazione. Ciò rappresenta uno dei punti di forza della finanza pubblica italiana; è opportuno non indebolirlo, anche alla luce del fatto che le proiezioni più aggiornate sono oggi meno favorevoli delle precedenti”.

Proprio sul piano del debito pubblico, mi permetto di aggiungere, lo Stato italiano ogni anno deve rinnovare titoli per oltre 400 miliardi e, almeno per adesso grazie all’azione provvidenziale della Bce di Mario Draghi, può farlo a tassi d’interesse molto contenuti. Ma è evidente a tutti, informazione distratta compresa, che solo annunciando la concreta introduzione di alcuni demenziali propositi sui quali Lega e M5S hanno vinto le elezioni si innescherebbe una pericolosa reazione a catena sugli stessi tassi d’interesse, riportando il sistema sull’orlo di una catastrofica crisi di liquidità.

Anche perché, come ha spiegato il bravo Giovanni Floris, questa volta nel ruolo di ospite in un talk-show televisivo, i cosiddetti mercati, ovvero la molteplicità dei soggetti che ci prestano i quattrini, nel momento in cui diventeremo meno affidabili sul piano della disciplina di bilancio è fatale che essi ci chiedano maggiori interessi, determinando un fatale aumento dello spread e, conseguentemente, facendo avvitare il sistema in una terrificante spirale senza via d’ uscita.

Pertanto, al netto dell’indigesto contrattone a uso gonzi che hanno messo nero su bianco leghisti e pentastellati, è all’interno di questi evidenti, quanto insuperabili paletti che sarà chiamato a operare il primo governo populista d’Europa. Il resto sono solo chiacchiere.

Aggiornato il 14 maggio 2018 alle ore 11:22