Governo. Il nodo Savona

Con l’incarico dato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al professore Giuseppe Conte il nuovo Esecutivo è al nastro di partenza. Presumibilmente già sabato i nuovi ministri potrebbero salire al Quirinale a prestare giuramento.

È inutile nasconderlo: siamo obiettivamente a un tornante della Storia e non perché lo dica Luigi Di Maio. Non era mai accaduto in Europa che forze dichiaratamente anti-establishment venissero chiamate a guidare un Paese come l’Italia. Non uno staterello qualsiasi ma la settima/ottava potenza industriale del mondo, la terza economia d’Europa nonché la seconda manifattura del continente.

È dunque naturale che, in questi momenti ancora complicati da decifrare, nelle cancellerie dei principali Stati membri dell’Ue il barometro segni burrasca. La preoccupazione che l’Italia non rispetti la road map tracciata a Bruxelles per tenere a bada il suo debito pubblico è solo un pretesto. Ciò che li spaventa è l’effetto contagio che si potrebbe determinare tra le disorientate opinioni pubbliche europee se il nuovo Esecutivo a Roma dovesse centrare gli obiettivi che si è dato con la stipula del “contratto” di Governo. É un paradosso. Una débâcle dei nuovi “barbari” non dispiacerebbe alle eurocrazie perché sarebbe la prova certa dell’incapacità dei populisti ad andare oltre la demagogia della protesta e perché i guai che potrebbero combinare una volta immessi nella stanza dei bottoni si possono sempre rimediare, magari con l’intervento di una “Troika” sempre pronta dietro l’angolo.

Lo scossone vero alle élite, oggi solo paventato, arriverebbe se gli “italiani” riuscissero a portare le loro istanze di revisione dell’architettura complessiva dell’Unione ai tavoli comunitari. Soprattutto, se lo facessero non attraverso l’irruzione nei “Sacri Palazzi” di Bruxelles di personale politico approssimativo e impreparato ma con l’ausilio di una classe dirigente competente e all’altezza della mission di tenere testa alle menti pensanti delle governance europee.
Non si spiegherebbero altrimenti le ripetute invasioni di campo di questi giorni, ai limiti della correttezza istituzionale, di cui si sono resi protagonisti a vario titolo alti esponenti della Commissione e del Parlamento europeo.

Piuttosto che la persona del presidente del Consiglio incaricato a Bruxelles, a Parigi e a Berlino colui che temono più della peste è Paolo Savona al Ministero dell’Economia. Perché il grande vecchio della scienza economico-politica italiana sa perfettamente argomentare le sue critiche alla costruzione europea e ne conosce i rimedi. Per gli “eurocrati” sarebbe di gran lunga più desiderabile ritrovarsi come interlocutore un “caciarone” alla Matteo Renzi il quale, esaurito il repertorio propagandistico, non ha saputo fare di meglio che tendere la mano e chiedere l’elemosina agli arcigni guardiani dei conti dell’Unione.
Con un Savona pensate che potrebbero ripetere lo stesso trattamento riservato ai leader dei governi di centrosinistra? Allungargli una mancia per tacitarlo, magari ottenendo in cambio che l’Italia  si trasformi nella “Pensione Mariuccia” di tutta la migrazione in arrivo dal Sud del mondo? A noi sembra assolutamente improbabile.

Ecco perché l’ultimo vero scoglio superato il quale il nuovo Esecutivo potrà prendere il lardo è proprio la nomina di Savona al Mef. Lui farà la differenza assicurando spessore all’azione di governo. Una sua esclusione, invece, inficerebbe moltissimo la credibilità riformatrice di un’alleanza costruita su un ossimoro: la compatibilità politica tra i Cinque Stelle e la Lega. Ora, fare il tifo perché il vecchio professore sardo, intimo del compianto “picconatore” Francesco Cossiga, vada a stare in Via XX Settembre non significa abbracciare in toto le scelte di questo governo giallo-blu, o non fargli opposizione. Tuttavia, non è giocando allo sfascio del tanto peggio tanto meglio che si fa il bene del Paese. Non è sperando che al Ministero dell’Economia ci finisca uno smidollato o un pavido che si aggrega una proposta di governo alternativa.

Silvio Berlusconi se ne lamentava quando, da premier, gli toccava di stare sulla graticola delle opposizioni di sinistra che si facevano forti degli insulti e delle porcate che venivano rovesciati da istituzioni  governative e media stranieri sul centrodestra.

Fosse stato per noi quelli che all’epoca si beavano delle risatine altrui rivolte all’indirizzo del Presidente Berlusconi li avremmo volentieri processati per alto tradimento perché prima degli interessi di bottega vengono sempre e comunque quelli della nazione. Ora che il centrodestra a-salvinizzato (la “a” non è un refuso ma un alfa privativo, si spera momentaneo) si prepara ad affrontare una navigazione incerta in mare incognito non adotti la pochezza della sinistra facendosi anch’esso megafono di ogni maldicenza, allarme o attacco provenga dai poteri stranieri.

Il Partito Democratico per essersi fatto paladino di quel metodo di lotta politica l’ha pagata cara. Finirebbe allo stessa maniera per Forza Italia se i suoi massimi esponenti cascassero nella trappola di fare da cassa di risonanza delle reprimende altrui. Non si dimentichi che se all’estero si parla male del governo di Roma non lo si fa perché si vuole bene all’Italia ma soltanto per fare gli interessi propri. Non è un caso se a Bruxelles, come nelle altre capitali europee, dei governi tecnici e del centrosinistra abbiano sempre parlato benissimo, nonostante stessero facendo il male degli italiani.

Se opposizione del centrodestra dovrà essere ci si augura che sarà costruttiva, incalzante e, soprattutto, intelligente. Che ci pensino i “dem” a fare la parte in commedia degli amici del giaguaro. E se il “nodo Savona” si scioglierà positivamente ne sia felice anche il centrodestra. Perché è sempre meglio avere uno bravo al posto giusto piuttosto che prendere un cavallo e farlo senatore.

Aggiornato il 24 maggio 2018 alle ore 13:21