La fantasia del potere

venerdì 25 maggio 2018


In questi giorni l’informazione radiotelevisiva ha dedicato molto spazio a Paolo Savona, in ballottaggio per prendere il posto di Pier Carlo Padoan al Ministero dell’Economia. E in modo particolare è stata messa in evidenza la sua non molto lontana conversione al fronte no-euro la quale, analizzandone anche i presupposti nel suo ultimo libro, non faccio alcuna fatica a considerare assolutamente delirante.

Da questo punto di vista possiamo dibattere all’infinito sui presunti errori iniziali del nostro ingresso nella moneta unica, sulla favola del cambio svantaggioso, e su quanto era bella l’Italia della liretta delle crisi valutarie e della micidiale tassa occulta di una inflazione che in alcuni periodi superava tassi del 25%. Allo stato attuale se dovessimo malauguratamente uscire dall’euro, aderendo al piano B teorizzato da Savona (che in soldoni prevede di realizzare un extra-gettito tale da portare lo spread oltre la soglia di rottura dei 600 punti), il Paese verrebbe letteralmente sommerso da un devastante tsunami economico e finanziario. Al di fuori dell’ombrello della Bce, che vorrei ricordare ha permesso allo stesso Paese di Pulcinella di risparmiare nel tempo circa 800 miliardi di interessi sul debito sovrano, consentendoci di continuare a chiedere prestiti a tassi molto bassi, per noi c’è il deserto.

Sebbene sia facile raccontare favole sovraniste ad un popolo molto confuso, il quale sembra credere in maggioranza che la ricchezza la si possa stampare per decreto, il ritorno ad una moneta nazionale determinerebbe il quasi immediato default dello Stato, riportando di fatto il nostro sistema economico ai “fasti” di quella autarchia con le pezze nel di dietro che ancora qualcuno sembra rimpiangere. In questo caso come monito razionale abbiamo l’esempio lampante del Venezuela, Paese peraltro immensamente più ricco di materie prime rispetto al nostro e che da sempre rappresenta un paradigma per l’anima grillina più barricadiera, la cui inflazione ha raggiunto nel 2017 il 2.735%, dove una sigaretta costa quanto 166 litri di benzina e per comprare una gazosa occorre il 12% di un salario minimo.

Probabilmente tornando alla lira non si giungerebbe a questi livelli parossistici, tuttavia il colpo sarebbe assolutamente mortale per la terza economia d’Europa e la seconda manifattura del Continente. I mercati finanziari, che vorrei ricordare non sono formati da un consorzio di biechi speculatori demoplutocratici bensì da una molteplicità di soggetti italiani ed esteri, darebbero per scontato il ricorso forsennato alla monetizzazione del debito ed alla copertura delle folli promesse elettorali dei sovranisti al potere stampando valanghe di nuove banconote, richiedendo per questo interessi sempre più proibitivi sui nostri titoli pubblici. Tutto questo, quand’anche non determinasse l’immediato default del Paese attraverso l’esplosione dei tassi d’interesse, renderebbe impossibile il nostro approvvigionamento energetico a prezzi ragionevoli, visto che lo stesso Savona teorizza una svalutazione iniziale nell’ordine del 20/30%. Ma non basta. Pure dal lato che i no-euro considerano più favorevole, ossia quello legato alle esportazioni, la tanto auspicata svalutazione competitiva tale non si rivelerebbe affatto.

Dobbiamo infatti considerare che il 70% dei prodotti che complessivamente vendiamo all’estero è formato da semilavorati a loro volta importati. Semilavorati i quali, una volta che ci fossimo ripresi la sciagurata sovranità monetaria, difficilmente potranno essere pagati con una valuta di Pulcinella, ma quasi certamente in dollari o in euro, ovvero in monete stabili e dal forte potere acquisitivo. In tal modo il costo finale di molti dei prodotti italiani da esportare risulterebbe paradossalmente troppo alto per competere sui vari mercati.

Ma, al di là di un simile, catastrofico scenario, io mi ostino a credere che con o senza Savona all’Economia, così come accadde alla Grecia di Tsipras e Varoufakis, sarà la realtà a fermare qualche passo prima del baratro, i forsennati demagoghi che hanno vinto le elezioni raccontando una montagna di balle agli elettori italiani.

In questo senso l’opposizione più responsabile, soprattutto quella che sostiene da sempre di ispirarsi ai valori liberali, dovrà svolgere un compito fondamentale, in primis evitando di inseguire sulla strada delle promesse impossibili gli avversari di sempre e gli alleati di ieri. Ciò sarebbe poi propedeutico per iniziare a rappresentare alla cittadinanza la vera condizione di un sistema democratico che non può più permettersi una competizione elettorale in cui vince chi promette cose che, se applicate anche in minima parte, manderebbero in fallimento il Paese intero.

Per contrastare la fantasia al potere di chi pensa di giocare impunemente con le leggi della fisica e della matematica non possiamo che fare appello al buon senso, sempreché ne sia rimasto a sufficienza in questa disgraziatissima Italia.


di Claudio Romiti