La responsabilità istituzionale del Capo dello Stato

La XVIII Legislatura, ferma al palo dalle elezioni del 4 marzo, si presenta non solo per quella che non è riuscita a dare vita ad un Governo per il periodo più lungo della storia repubblicana, ma anche per quella in cui i protagonisti della vita politica si scontrano con la responsabilità istituzionale del Capo dello Stato.

Innanzitutto, i leader del primo e del terzo partito rappresentati in Parlamento (Movimento 5 Stelle e Lega) hanno concordato un programma, definito “contratto” (come se fosse teso ad istituire un vincolo giuridico) e poi hanno preteso di indicare al Presidente della Repubblica un candidato con il preciso compito di eseguirlo. Ciò è avvenuto nonostante la Costituzione attribuisca al Presidente del Consiglio la direzione della politica generale del governo e la responsabilità di essa, incombenti che si addicono ad un direttore e non ad un esecutore.

Quindi, ottenuto l’incarico, il candidato (dai due leader) designato, dopo apparenti consultazioni delle forze politiche, ha presentato al Quirinale un programma di Governo e una proposta dei ministri (sempre dai due leader stilati), che non è apparsa al Colle idonea a garantire né il tradizionale europeismo dell’Italia (Paese fondatore della Comunità Economica Europea, con il Trattato di Roma del 1957, per diventare, dal 1992, con il Trattato di Maastricht, unione politica) né la limitazione della sua sovranità, che l’Italia ha irrevocabilmente consentito con l’ingresso nella moneta unica dell’Euro e l’abolizione della Lira.

È evidente che su questi due aspetti il Presidente della Repubblica, custode della Costituzione e garante dell’equilibrio e dei valori costituzionali, non poteva transigere. Infatti, la scelta europeista e l’adesione all’Euro sono elementi non negoziabili della nostra forma di Stato repubblicana e democratica, che nessun “sovranista” o “populista” (espressione di elementi estranei alla nostra Costituzione) può mettere in discussione.

Il Presidente della Repubblica, esercitando puntualmente (e con molta comprensione per le provocazioni ricevute) i suoi poteri costituzionali, ha eretto l’argine a difesa del Paese da chi, tentando di sovvertire la storia del Dopoguerra e di nascondere agli italiani il terzo debito pubblico più grande del mondo (circa 2300 miliardi di Euro), ha prospettato, da un lato, una politica ostile all’Europa e al rigore del Patto di stabilità, che l’Ue giustamente ci impone, per far sì che i debiti si paghino e non si eludano, e, dall’altro, un attacco all’Euro, che è l’unico strumento in grado di evitare il deragliamento del nostro sistema economico e finanziario.

Gli atti di nomina del Presidente del Consiglio e dei ministri, che con lui compongono il Governo, sono definiti “complessi eguali”, perché a partecipazione paritaria della volontà del capo dello Stato e del Presidente del Consiglio, da coordinarsi secondo il principio di leale collaborazione, che non ammette alcuna sfumatura antieuropea e antitedesca, in ragione dei vincoli che il Paese, tramite i suoi legittimi rappresentanti, ha liberamente contratto (questo volta in senso giuridico) con l’Unione.

E ciò anche senza considerare che la Banca centrale europea, acquistando titoli di Stato con il Quantitative easing (Qe) consente al nostro Paese di sostenere da due anni il debito pubblico, e che la Germania è il maggiore partner commerciale e turistico dell’Italia.

Pertanto, ancora evviva la Costituzione che prevede, nel ruolo essenziale e insostituibile del Presidente della Repubblica, la garanzia della forma di Stato e dei suoi principi fondamentali di libertà, democrazia e responsabilità contro ogni deriva demagogica, avventuristica o qualunquistica.

(*) Docente di Diritto costituzionale nell’Università di Genova e di Diritto regionale nelle Università di Genova e “Carlo Bo” di Urbino

Aggiornato il 30 maggio 2018 alle ore 11:09