Salvini-Di Maio: per chi suona la campanella

lunedì 4 giugno 2018


La giornata politica che si è consumata ieri potrebbe aver offerto l’esatta cifra del governo giallo-blu che verrà.

In pratica, una sfida nella quale i titolari dei pacchetti azionari della maggioranza, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, saranno impegnati in un duello propagandistico che si protrarrà fino al momento del redde rationem elettorale. Speriamo di sbagliare ma i due hanno cominciato a darsi sulla voce dalla terra che per molteplici caratteristiche è destinata ad essere il laboratorio di sperimentazione delle rispettive proposte-bandiera: la Sicilia. A Salvini che ha preso di petto il leitmotiv leghista di sempre, cioè la lotta all’immigrazione, ha risposto Di Maio che dai medesimi luoghi ha rilanciato la questione del reddito di cittadinanza e dell’aumento delle pensioni minime.

Non c’è niente di male che i due capipartito si rivolgano direttamente all’opinione pubblica, visto che comunque è in atto una campagna elettorale che porterà la prossima domenica milioni di elettori a votare per il rinnovo di molte amministrazioni comunali. Tuttavia, l’accelerazione imposta dai due player in qualche misura stona. Sarebbe stato più logico attendere che il neo-insediato Presidente del Consiglio avesse avuto il tempo di presentarsi alle Camere per la fiducia. Il fatto che il premier Giuseppe Conte non abbia ancora parlato al Parlamento, e di rimando al Paese, non è irrilevante. A meno che non si voglia dare credito alle malelingue che lo indicano come una sorta di testa impagliata messa a Palazzo Chigi per coprire i veri manovratori, è fondamentale udire, in questo caso, la voce del premier. Sappiamo bene che il professor Conte non vorrà, e non potrà, discostarsi dal contenuto del “Contratto” di governo siglato dai due partner, ma l’ordine di priorità che il titolare di Palazzo Chigi intenderà dare ai provvedimenti programmati farà la differenza.

Non esageriamo nel dire che il timing dell’azione di governo contribuirà a ridefinire il profilo democratico del Paese. Un esempio, per intenderci. Prendiamo il caso del rapporto fisco-giustizia. Sia i leghisti sia i grillini hanno dichiarato di voler usare la mano dura con gli evasori promettendo il carcere vero a chi non paga le tasse. Lo hanno scritto nel “Contratto” lasciando però un alone d’ambiguità che non può non preoccupare. Mentre i leghisti hanno subordinato l’introduzione delle misure repressive all’attuazione della riforma radicale del sistema fiscale con l’abbassamento delle aliquote ex-flat tax al 20 e al 15 per cento, il Movimento Cinque Stelle su tale sequenzialità ha glissato. Ora, capirete bene che il confine tra una società giusta e uno Stato aguzzino può essere molto labile se, ad esempio, il Governo decide di procedere con l’inasprimento della normativa penale sull’evasione prima che venga realizzata la riforma dell’intero impianto fiscale e ridotte significativamente le aliquote. Il programma che il Presidente del Consiglio presenterà alle Camere dovrà dare delle risposte su questo punto e su tutti gli altri previsti dal programma non fosse altro per consentire alle opposizioni di calibrare il proprio ruolo nel corso della legislatura. Perciò, conoscere il cronoprogramma che il Governo si sarà dato vale quanto se non più del programma stesso.

Invece, Salvini e Di Maio hanno pensato bene di strappare partendo prima che lo starter sventolasse la bandiera del via ai nastri partenza. Potrebbe sembrare una figata della nuova politica ma anche diventare un boomerang pazzesco per i due concorrenti. Qualcuno, non a torto, ha ricordato a Salvini che ministro dell’Interno e capopopolo sono due figure che fanno difficoltà a stare insieme. Il primo parla attraverso gli atti, il secondo lancia proclami. Il “Capitano” è politico troppo avveduto per ignorare la differenza. Allora viene da domandarsi: quand’è che il leghista trascinatore delle ansie e delle speranze di tanti italiani dismetterà la felpa e assumerà la postura e i modi che si addicono al titolare del Viminale che è anche, particolare non trascurabile, massimo vertice delle forze dell’ordine?

Ugualmente, il giovane e brillante Di Maio che, differentemente da Salvini, si è presentato al suo popolo mostrando un cappello pieno di propositi ma vuoto di sostanza. L’unico annuncio concreto, infatti, ha riguardato il taglio dei vitalizi che il Parlamento a breve dovrà licenziare. Che sarà pure un must della propaganda grillina ma riguardo ai conti pubblici vale lo zero-virgola. Ora, i credenti nella metempsicosi ammettono che un’anima, prima di trasmigrare da un corpo all’altro, attraversi una fase intermedia di adattamento alla nuova condizione esistenziale. Sarà lo stesso per i due leader che si preparano a vivere una seconda vita? Diamogli pure il tempo di reincarnarsi ma facciano presto perché ad attendere il Di Maio reincarnato al Mise ci sono, aperti, oltre 140 tavoli di crisi aziendali tra i quali la delicatissima trattativa sul futuro industriale dell’Ilva e l’ancor più delicata chiusura del negoziato relativo alla vendita di Alitalia. Mentre al Salvini risvegliatosi in doppiopetto toccherà di affrontare nel concreto, e non a chiacchiere, l’ondata di migranti che sta per abbattersi sulle nostre coste grazie alla stagione estiva.

Una chiosa in calce: abbiamo finalmente compreso il senso della “cerimonia della Campanella” che suggella il passaggio di consegne dal vecchio al nuovo premier incaricato: serve ad annunciare a tutti che la ricreazione è finita.


di Cristofaro Sola