Chi ha paura dell’Italia?

martedì 5 giugno 2018


Potremmo chiamarla “La strategia dei cassetti vuoti”. Quelli, per capirci, in cui un buon padre di famiglia ripone il suo denaro per consumi e investimenti. Tutti sanno, però, che le casse del bilancio italiano sono desolatamente vuote e il suo debito, in rapporto con il Pil, supera quello di tutti i suoi concorrenti europei a eccezione della Grecia (ben magra consolazione). Per continuare a spendere, quindi, i soldi che mancano lo Stato li deve trovare o indebitandosi ulteriormente, o realizzando maggiori entrate ben sapendo che il debito è una tassa intergenerazionale mentre il secondo aspetto richiede uno sforzo ulteriore da parte di un contribuente già stremato. Si potrebbe tentare, però, la carta di non restituire il debito o di svalutarlo tornando a stampare moneta a volontà. Ovvio che i creditori non se ne staranno con le mani in mano e, in questo caso, c’è da giurarci che venderanno cara la pelle. E lo si è visto appena il mainstream ha avuto sentore che i nuovi inquilini di Palazzo Chigi avrebbero potuto tentare il colpo gobbo. Mercati, spread e poteri forti di Francoforte-Bruxelles hanno immediatamente scavato le trincee e arrestato sul nascere l’offensiva populista.

Nondimeno, quella partita apparentemente persa è stata in realtà il Cavallo di Troia che ha spezzato il monopolio franco-tedesco in Europa. Lo spostamento dello scomodo antigermanista e antieuro Paolo Savona al più tranquillizzante e disarmato ruolo di responsabile per gli affari europei, doppiato da un Esecutivo tecnico simil-montiano del 2011, con i ruoli chiavi di Economia, Esteri e Difesa in mano a navigati tecnici mai transitati per il battesimo delle urne, hanno restituito pace e serenità alla inquiete cancellerie europee, timorose dell’uscita dell’Italia dall’Euro e dall’Alleanza atlantica a seguito di un netto spostamento del suo asse diplomatico verso la Russia di Vladimir Putin. E qui bisogna dare atto al navigatissimo Salvini di avere recitato alla perfezione il ruolo di Ulisse: lo facevano sconfitto e lontano, ma lui invece era già entrato saldamente nelle roccaforti del potere che conta. Infatti, non bisognerebbe mai dimenticare chi si ha di fronte: la Lega governa bene regioni chiave del Nord e molte città che contano e, quindi, non vorrebbe mai veder fallire la media-piccola impresa che vive dei tassi bassi dell’euro e della concorrenza internazionale per mantenere in vita reddito e occupazione.

Cosicché rinfoderata con una commedia dell’arte degna di Goldoni l’arma caricata a salve di Savona, Matteo Salvini è passato all’arma bianca innestando la baionetta del contrasto duro e puro all’immigrazione selvaggia e alla spesa illimitata per l’accoglienza. L’impatto è stato politico, economico e diplomatico. Economicamente, è ben noto come il business multimiliardario dell’accoglienza ai migranti abbia nettamente favorito migliaia di onlus catto-comuniste e dato lavoro (precario!) a molte decine di migliaia di giovani cooperanti con contratti di fame, ma che votano a sinistra e fanno salire il tasso di occupazione con la loro precarietà endemica. Politicamente, all’interno è stato dato un chiaro segnale di svolta che venti milioni di votanti più altrettanti astenuti si aspettavano da almeno trenta anni: ovvero, che l’Italia non è più il ventre molle dell’Europa dove far confluire l’immensa massa di giovani africani a caccia di un futuro migliore, qualunque esso sia.

Diplomaticamente (e si è visto con l’immediato “mea culpa” della cancelliera Angela Merkel per aver “lasciato sola l’Italia con l’emergenza sbarchi”), si è aperta una breccia che reciderà il nodo scorsoio di Dublino e porrà una seria ipoteca per la correzione delle storture di Trattati come Pac, Euro e Maastricht. Luigi Di Maio ha fatto lo stesso, promettendo e attuando un’altra misura a costo zero: il taglio dei vitalizi agli ex parlamentari. Ditemi voi, ora, chi è il “pollo”!


di Maurizio Guaitoli