Il governo gialloverde gioca col futuro del Paese

Giuseppe Conte ha parlato. L’intervento pronunciato dal presidente del Consiglio al Senato, per la fiducia al suo governo, è stato lungo, infarcito di retorica populista, ma, paradossalmente, povero di contenuti. Come sostiene giustamente Giorgio Mulè, portavoce unico dei gruppi di Forza Italia di Camera e Senato, il contratto per il “governo del cambiamento” ci consegna la certezza della drammatica prospettiva del peggioramento e dell’arretramento. Nel discorso programmatico di Conte, infatti, non c’è posto per la parola “infrastrutture”. Eppure, si tratta della leva di prosperità di qualsiasi Paese, sia esso in via di espansione che mediamente industrializzato. Qual è il piano di sviluppo di questo esecutivo? Pare, addirittura, che il neo ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, il grillino Danilo Toninelli, voglia rimettere in discussione tutto o quasi. Ha abbozzato un vago ragionamento sulla presunta analisi di “costi e benefici”. Ci soffermiamo su questo tema, perché si tratta di uno dei punti in cui appare facile pronosticare un cortocircuito tra leghisti e grillini. Non a caso, lo stesso Toninelli, a proposito delle grandi opere del Veneto, ha detto che è necessaria “un’ispezione”. E la Pedemontana e la Tav rientrano in questa analisi. Nella lista figurano anche il Mose e le bonifiche di Marghera. Ma un dato drammatico del discorso di Conte è l’assoluta assenza del Sud. Un piano di rilancio del Mezzogiorno d’Italia, infatti, non figura nell’agenda di governo.

Un’altra questione dirimente, per comprendere quale sia l’idea di Paese di un governo è la giustizia. A questo proposito, il premier, nel suo intervento, ha parlato genericamente di “certezza della pena”. Salvo confermare quanto sta scritto sul contratto di governo. Vale a dire l’introduzione, nel nostro ordinamento giudiziario, del cosiddetto “agente provocatore”. In buona sostanza, un agente che abbia la licenza di indurre in tentazione un imprenditore o un politico, in modo tale da portarlo a compiere un reato. Dire che si tratti un’aberrazione è eufemistico. Il nostro Paese, già poco garantista, si trasformerebbe, in un solo colpo, in uno Stato poliziesco. Con le forze dell’ordine ancora più assoggettate alle procure. Questa ipotesi terrificante ricorda un racconto di fantascienza di Philip K. Dick, “Minority Report”. Steven Spielberg nel 2010 ne ha tratto un film omonimo. Il testo e il lungometraggio raccontano una società futura in cui è in vigore un sistema chiamato “Precrimine”. In quel quadro non viene punito il fatto, che non avviene, bensì l'intenzione di compierlo e che porterebbe a concretizzarlo. Perché la Lega non si è opposta? Perché Matteo Salvini non ha sollevato alcuna obiezione? Si tratta di quesiti che destano preoccupazione. Ma in chi, come noi, si professa da sempre liberale, queste domande generano autentico sconcerto. Numerosi commentatori sostengono che la compagine governativa sia sbilanciata in favore della Lega. Al contrario, ahinoi, il governo gialloverde appare chiaramente a guida grillina. Non dobbiamo dimenticare, al di là delle ironie, che il presidente del Consiglio sia espressione del Movimento cinque stelle. Ha pienamente ragione Giorgio Mulè. Governo e maggioranza stanno giocando con il futuro di migliaia di lavoratori, con il futuro dell’economia e con quello del nostro Paese.

 

Aggiornato il 06 giugno 2018 alle ore 17:03