M5S: come stanno le cose

Come stanno le cose nel Movimento 5 Stelle? Come vanno? In verità, uno dei testimoni più interessanti a proposito delle “cose” nel Movimento Cinque Stelle non può non essere Federico Pizzarotti, sindaco di Parma. Primo cittadino, e non a caso. Anche e soprattutto perché i problemi più seri, quando si parla dei pentastellati, riguardano i sindaci eletti sotto un simbolo che, inutile ricordarlo, ha superato il 30 per cento nell’ultima competizione elettorale. Politica, attenzione.

I problemi veri, in sostanza, li stanno toccando con mano gli amministratori comunali, come nel caso emblematico di Roma, benché anche per costoro il successo elettorale non sia stato di poco conto, anzi. Pizzarotti (Italia Oggi) non fa più parte del partito di Beppe Grillo dal quale se n’è andato o è stato cacciato anche se, come ha dichiarato, “non hanno avuto il coraggio di espellermi”, il che, tra l’altro, la dice lunga sullo stato delle cose ai vertici.

Dunque? Intanto la considerazione pizzarottiana colpisce il bersaglio nella misura con la quale questo stato è emblematizzato da quello che viene definito il giglio magico di Luigi Di Maio, ovverossia la prevalenza di un gruppo con a capo l’attuale vice presidente del Consiglio che ha, o avrebbe, sostituito lo stesso capo cosiddetto indiscusso, anche se la narrazione del sindaco di Parma glissa a proposito di un co-autore o co-responsabile pentastellato, cioè Davide Casaleggio che, almeno a un’analisi più attenta sembra una sorta di deus ex machina in un movimento dove prevale una legge di fondo, quella del computer e analoghi. Forse è presto sostenere l’assenza di Grillo o l’essere venuta meno, poco o tanto, la sua conduzione. Il punto vero sta probabilmente nel suo sostanziale disinteresse per le faccende comunali poiché “la motivazione di origine è che è meglio stare lontano dai comuni, si può sbagliare, ci possono essere affari non chiari nei quali essere tirati dentro. È l’impostazione di Grillo, a loro i comuni non interessano. Non si sono posti il problema, invece, che serve una classe di amministratori all’altezza, questo il vero nodo”.

Se si allarga lo sguardo, tuttavia, non è difficile notare una latitanza invero pericolosa per un partito oggi al governo, ovverosia una classe dirigente degna di questo nome. Et pour cause, giacché, sempre secondo il sindaco parmense, “il M5S non ha classe dirigente. La selezione non avviene in base alle competenze ma in base al gradimento e alla vicinanza al capo, e basta vedere il governo nazionale dove, molti tra i sottosegretari sono entrati solo perché vicini a Luigi Di Maio”, che Pizzarotti saluta come il capo politico del movimento sottolineando come, a cominciare dalla composizione del governo, si comporti né più né meno come quel Matteo Renzi cui rimproverava di occupare posti con gente fidata. Peraltro, il suddetto ministero è di qualità, come si dice, super, ché la sola gestione dello sviluppo economico e del lavoro in un Paese come il nostro richiede esperienza, grande competenza e, soprattutto, un’attenzione costante tanto più se con gli occhi puntati ai problemi reali come l’Ilva, l’Alitalia, la riforma del lavoro, delle pensioni, della gente in carne e ossa, e chi più ne ha ne metta. Insomma, una bella gatta da pelare. Se ne dedurrebbe, a sentire Pizzarotti, non tanto o non soltanto un approccio dimaiano difficile e complesso a una materia che non si può gestire con una boutade o con un tweet, ma una sorta di rischio vero e proprio, un probabile effetto di ritorno negativo, un vero e proprio boomerang.

E allora, addio giglio magico per Di Maio. E per Salvini, suo co-vice e co-leader? Indubbiamente, per Salvini la musica sembra diversa, benché, a ben vedere, anche la gatta degli immigrati non sia così facile da pelare, a meno che non si tratti di una nave fatta bruscamente dirottare in Spagna con un seguito di due navi italiane (forse ne bastava una, chissà!). Intendiamoci, è pur vero che nel problema “dell’immigrazione si scontra con persone che non hanno voce, mentre nella sicurezza ha dalla sua tanti che non vedono l’ora che siano dati più poteri a prefetti e a forze dell’ordine”. Semplice, facile?

E comunque sarebbe il caso di coinvolgere l’Europa tout court, non limitarsi a dire che è lontana, e occuparsi con attenzione della Libia. Grande attenzione per una politica estera degna di questo nome.

Aggiornato il 15 giugno 2018 alle ore 19:50