Benvenuti nell’Ottocento

Non c’è che dire, con il governo del cambiamento il Paese sembra aver bruscamente accelerato verso un nazionalismo da operetta di stile ottocentesco. Sebbene per ora si tratti di molte chiacchiere e poco costrutto, a parte la confusa vicenda della nave Aquarius, antiche e nuove parole d’ordine all’insegna della dignità nazionale e di quella dei cittadini/lavoratori italiani ispirano gli annunci dei principali esponenti della maggioranza al potere.

E a un Matteo Salvini che sul fronte a costo zero dell’immigrazione promette di spezzare le reni all’Europa, dimostrando ancora una volta di essere il vero uomo forte dell’Esecutivo giallo-verde, cerca di rispondere come può un sempre più spaesato Luigi Di Maio, impegnandosi in una lotta senza quartiere al cosiddetto precariato.

Si legge, infatti, in un suo stupefacente post pubblicato su Facebook il 17 giugno: “Da ministro ho deciso di dichiarare guerra al precariato. Lo stato continuo di precarietà e incertezza dei giovani italiani sta disgregando la nostra società. Sta facendo impennare il consumo di psicofarmaci. E facendo calare la crescita demografica. La mia intenzione è garantire da un lato le condizioni migliori per i lavoratori, dall’altro alle aziende di operare con profitto per creare nuovo lavoro. Se lavoriamo insieme l’Italia diventerà il modello da seguire per le attività legate alle imprese che operano su piattaforme digitali. Ma sia chiaro, non si accettano ricatti. I nostri giovani prima di tutto”.

Ora, questo ennesimo capitolo del libro dei sogni pentastellato, in cui il presupposto di ogni iniziativa è la sua desiderabilità sociale a prescindere, scaturisce da alcune indiscrezioni trapelate circa il prossimo “Decreto dignità” che si è impegnato a varare lo stesso Di Maio. In particolare, sullo spinoso tema dei riders che operano per mezzo delle citate piattaforme digitali, il ministro del Lavoro sarebbe orientato a considerare “prestatore di lavoro subordinato” chiunque svolga consegne a domicilio attraverso una qualsiasi applicazione. In tal modo le aziende del settore, caso unico nel contesto internazionale, sarebbero costrette ad assumere in pianta stabile questi soggetti, come nel caso dei riders di Foodora. Quest’ultima azienda, senza nemmeno aspettare l’uscita del decreto, ha pronunciato parole di fuoco, per bocca dell’amministratore delegato di Foodora Italia Gianluca Cocco, nei confronti dell’iniziativa: “Quella che filtra è una demonizzazione della tecnologia che ha dell’incredibile, quasi medievale. Essa appare in aperta contraddizione con lo spirito modernista del MoVimento 5 Stelle. Se così stessero le cose, dovrei concludere che il nuovo governo ha un solo obiettivo: fare in modo che le piattaforme digitali lascino l’Italia”.

Certo è che questo ennesimo pasticciaccio brutto di buone intenzioni, di cui è sempre lastricata la via dell’inferno, pone ancora una volta il capo politico dei grillini di fronte a una scelta abbastanza difficile, particolarmente per chi è cresciuto a pane e demagogia. Da una parte c’è la via della realtà, con tutti i suoi complessi e quasi insuperabili vincoli, che nel caso delle nuove professioni non possono certamente essere affrontati con gli schemi normativi dei secoli passati. Dall’altra parte, al contrario, troviamo la quasi irresistibile tentazione di rincorrere per decreto ogni richiesta provenga dalla pancia della società. D’altronde Di Maio e soci hanno raccolto il loro grande consenso, oltre che sull’onda di una generalizzata protesta contro il famigerato establishment, soprattutto per aver prospettato un nuovo corso politico in cui, accontentando in egual misura tutti i soggetti richiedenti, venga sostanzialmente ribaltato il principio di non contraddizione della logica classica.

Ribaltamento surreale che, nel caso in oggetto, trova la sua chiara espressione nell’azione di un giovane ministro della Repubblica il quale vorrebbe da un lato scaricare sulle aziende interessate i costi delle sue “nuove” tutele novecentesche promesse ai riders; mentre dall’altro lato promette alle medesime e imbufalite aziende di fare il possibile per metterle in condizioni di operare con profitto e creare nuovo lavoro.

Come si vede, le due cose non stanno proprio insieme. In questo caso il gesso delle tutele dimaiane assai poco si concilia con la spinta deregolamentatrice insita nelle piattaforme digitali. E se la sintesi proposta da “Giggino ‘o webmaster” è quella di un ritorno, più o meno surrettizio, a una forma di lavoro dipendente, credo proprio che gli psicofarmaci farebbe bene a prenderli lui, se non altro in forma preventiva.

Aggiornato il 19 giugno 2018 alle ore 11:22