I pentastellati alla rincorsa di Salvini

Matteo Salvini è il protagonista assoluto di questa fase politica. Senza alcun dubbio. Dopo il varo del governo gialloverde, il ministro dell’Interno ha guadagnato il centro della ribalta. Da allora non ha più abbandonato la scena. Ha declamato il suo nuovo verbo fatto di respingimenti e improbabili e anticostituzionali censimenti dei Rom. La sua si è rivelata una propaganda a “costo zero”. Già. Perché è stata pronunciata in questa permanente campagna elettorale che è diventata la politica italiana. Proprio per queste ragioni, una delle prime decisioni da assumere, a nostro avviso, farebbe risparmiare parecchi milioni di euro allo Stato. Stabilire, per legge, l’election day. Non è possibile, infatti, che le elezioni generali, quelle amministrative e quelle regionali si tengano, sempre, in momenti diversi. Persino la formazione dell’esecutivo è stata fortemente influenzata dai confronti elettorali, dai comizi, dalle riunioni con gli elettori. L’election day rappresenterebbe un primo provvedimento di buon senso. E, al momento, sarebbe l’unico. Perché il cosiddetto “governo del cambiamento” finora ha cambiato solo il linguaggio, non l’azione politica. Si obietterà dicendo che i sondaggi premiano la Lega e certificano un arretramento dei pentastellati. È vero. Con tutta evidenza, viviamo ancora la fase  della “luna di miele” tra il governo a trazione leghista e i cittadini. Ma quanto durerà? Le contraddizioni all’interno dell’esecutivo stanno iniziando ad emergere. Salvini, indubbiamente, sta dettando l’agenda governativa. Ma le sue parole d’ordine giocano con le paure degli italiani. Si  rivolgono alla pancia e non alla testa della gente. In questa fase, per la politica del leader leghista sono indispensabili i capri espiatori. Ma, pur lodando l’abnegazione del vicepremier, bisogna rammentargli di non smarrire sentimenti come umanità, solidarietà e carità cristiana. In verità, Salvini dovrebbe recuperare i temi cari al centrodestra unito: riforme liberali, flat tax, investimenti, aiuti alle imprese e alle famiglie. Ma, soprattutto, il rilancio del Mezzogiorno. Già il Sud: una parola scomparsa dal vocabolario del governo gialloverde.

Frattanto, il ministro del Lavoro Luigi Di Maio si trova ad inseguire Salvini. Il sempiterno presidente del Consiglio “in pectore” è diventato un opaco burocrate che studia, ancora, i dossier. È lecito chiedersi che ne sia stato del fantomatico reddito di cittadinanza. E della riforma dei centri per l’impiego? Si è trattato, ovviamente, di insensati propositi da sciorinare durante gli incontri di piazza. A questo punto, attendiamo l’esecutivo alla prova dei fatti. In autunno dovrà essere approvata la legge di Stabilità. Così, Salvini dovrà scendere dal palcoscenico, abbandonare la ribalta, spegnere i riflettori e dire la verità. La verità sul futuro del nostro Paese. A partire dalla lotta alla disoccupazione e da un piano di sviluppo condiviso. Solo allora sapremo se tutti i nodi, come crediamo, verranno al pettine di questo pastrocchio chiamato governo gialloverde.

Aggiornato il 20 giugno 2018 alle ore 10:39