Ue e migranti: ultimo atto

Sui migranti questa volta l’Unione europea deve fare sul serio, non ha scelta. La partita che si giocherà a Bruxelles i prossimi 28 e 29 giugno potrebbe essere decisiva non soltanto per la sorte di coloro che provano, da clandestini, a sbarcare sul suolo europeo ma anche per il futuro comune della Ue. Se non ci sarà accordo, infatti, la possibilità che l’Unione si spacchi diventa più concreta. Qualcuno, a Nord del continente, comincia a comprendere che l’Unione non può limitarsi ad essere una sommatoria di regole economiche, talvolta inique. Occorre ben altra malta per cementare un processo di aggregazione tra Stati che per secoli si sono combattuti e odiati. Ma non basta dichiarare l’intenzione di riconoscersi in un destino comune. Il come sarà l’Europa del domani è importante almeno quanto lo è la volontà di costruirla.

In quest’ottica, egoismi nazionali e volontà di potenza male si conciliano con la prospettiva di condivisione dei destini dei singoli Stati. Dunque, il che fare sull’immigrazione sarà un passaggio fondamentale per il futuro dell’Unione. La cancelliera Angela Merkel ha organizzato un prevertice domenica prossima riservato ai capi di Governo francese, spagnolo e italiano e di altri Paesi dell’Europa meridionale nella speranza di arrivare al Consiglio d’Europa con una proposta condivisa almeno dai Paesi dell’asse portante della politica migratoria comunitaria. Ma la lady di ferro tedesca non è al meglio della condizione. All’interno della Große Koalition è scoppiato il caso del ministro dell’Interno, Horst Seehofer, rappresentante della Csu, l’Unione Cristiano-Sociale in Baviera alleata storica della Cdu, l’Unione Cristiano-Democratica di Germania, ha lanciato un ultimatum alla cancelliera: se entro la fine di giugno la Germania non trova un accordo con gli altri Paesi, il suo ministero ordinerà alle forze dell’ordine di attuare i respingimenti degli immigrati alle frontiere tedesche. Il che produrrebbe il caos all’interno del perimetro dell’Unione. Seehofer abbraccia la linea dura di Victor Orbán e dei Paesi del gruppo di Visegràd ed invita Angela Merkel a fare altrettanto. Per Giuseppe Conte non sarà facile far sentire la sua voce. Soprattutto, se la proposta italiana si focalizzasse esclusivamente sulla modifica del Regolamento di Dublino. Su quel versante non si tirerà fuori il ragno dal buco.

D’altro canto, a cosa servirebbe una modifica del “Regolamento” se, a conti fatti, non è stata l’applicazione di quel Trattato a riempirci di clandestini? Paradossalmente, è stata la sua sospensione, all’avvio dell’operazione “Triton” che sostituiva “Mare Nostrum” il 1 novembre 2014, a convincere i partner a dare una mano all’Italia nel soccorso in mare degli immigrati stivati nei barconi libici. Fu il genio del duo Ranzi-Alfano, allora imperante, a rassicurare gli europei che con i clandestini portati a bordo delle navi battenti bandiera degli Stati aderenti all’Ue, non sarebbe valsa la regola del primo Paese d’approdo a cui chiedere il riconoscimento del diritto d’asilo, ma la giurisdizione sarebbe rimasta a tutti gli effetti in capo all’Italia in quanto punto d’approdo dei naufraghi.

Ora, se si vuole risolvere la questione immigrazione bisogna puntare a fermare le partenze dalle coste libiche e tunisine. Visto che non si trova la quadra sulla spartizione in quote dei clandestini che arrivano, l’unica strada per salvare i cavoli della sicurezza interna del nostro Paese e la capra dell’unità europea resta quella di spostare la frontiera comunitaria sulle coste nordafricane. Sommessamente ricordiamo che è ciò che predichiamo da anni, sebbene inascoltati dai governi non-udenti del centrosinistra. Serve che si facciano gli hot-spot fuori dei confini comunitari, preferibilmente lungo le coste dei Paesi nordafricani. I centri di raccolta dovranno ospitare gli immigrati tratti in salvo dalle unità navali che pattugliano le acque del Mediterraneo centrale. A meno che non si pensi di replicare in Libia la soluzione pilatesca adottata in Turchia: denaro in cambio del trattenimento forzato dei migranti. Il territorio libico è in preda all’anarchia e sotto il tallone delle milizie armate che combattono tra loro una guerra ispirata da bassi interessi economici e di potere. Come si potrebbe pensare di pagare i predoni, ben conoscendone l’alto grado d’insensibilità per il rispetto dei diritti umani e della dignità delle persone, purché ospitino dei disperati e, allo stesso tempo, stare in pace con la coscienza? Perché il sistema di accoglienza e protezione funzioni al di là del Mediterraneo è indispensabile che venga accompagnato da una robusta presenza militare posta sotto l’egida dell’Unione europea.

Se il rappresentante italiano riuscirà a far convergere i partner su tale soluzione vorrà dire che si sarà compiuto un significativo passo in avanti verso la soluzione del problema. E l’esordio del nuovo premier nel contesto dei capi di Stato e di governo dell’Ue sarà stato positivo. Diversamente, ci ritroveremo sul groppone un Giuseppe Conte scornato alla sua prima uscita importante, un Matteo Salvini infuriato, pronto a far saltare il banco dell’alleanza di governo e l’Italia a fare ancora una volta, come col centrosinistra, la parte della negletta dai forti. In tale malaugurata ipotesi si raccomanda una reazione coerente con gli annunci fatti in premessa dal governo giallo-blu. Si prepari l’avvocato Conte a mitragliare con una raffica di No tutte le altre questioni che stanno a cuore ai partner. I benpensanti, sempre attenti a non inciampare nella loro stessa ombra, diranno: “Che senso ha che muoia Sansone con tutti i filistei?”. A costoro volentieri rispondiamo: “E che senso ha, invece, lasciare pascere beatamente i filistei se Sansone è morto per mano loro?”.

Aggiornato il 20 giugno 2018 alle ore 15:51