Il Governo dei prepotenti

C’è una categoria dello spirito che manca alle pur numerose e dettagliate analisi dell’azione del governo Lega-M5S lette negli ultimi tempi: quella della prepotenza. Che, a dire il vero, riguarda i Cinque Stelle nelle concrete azioni di governo e i leghisti più che altro nel loro vaniloquio.

Prendiamo un esempio di questa prepotenza: togliere la possibilità alle società calcistiche di avere sponsor del mondo delle scommesse sportive. Che non potranno più fare pubblicità. Un perfetto provvedimento da Stato paternalista, da “celoMadurismo” applicato alla realtà . A cura del povero Luigi Di Maio, asino tra i suoni a causa dell’iniziativa ossessiva di Matteo Salvini sul campo ben più razionale del contrasto all’immigrazione clandestina. È chiaro persino a un minus habens che questo decreto, imposto con la prepotenza, nel breve periodo farà cessare molte decine di migliaia di posti di lavoro e provocherà danni incalcolabili al calcio italiano. Ma Di Maio, che deve fare qualcosa di grillino sennò il Garante lo caccia al primo giro utile, prosegue indefesso ed evoca la ludopatia. Che però oggi, uno psichiatra, pure di stampo ultraconservatore come Paolo Crepet, dubita addirittura che possa annoverarsi tra le tante dipendenze della vita moderna. Ergo: noi mettiamo a rischio il certo per l’incerto perché così vuole Di Maio. A casa di ognuno di noi questa si chiama prepotenza. Prepotenza politica. Con una battaglia che assomiglia tanto a quella del vecchio Pci di Longo e Berlinguer nei primi anni Settanta contro l’introduzione della tv a colori in Italia. Anche in quel caso con sommo sprezzo dell’economia e dell’occupazione, oltre che dell’utenza, ma tutto a favore dell’ideologismo paternalista comunista.

Altro esempio di prepotenza e di paraculismo allo stato puro: si ritorna a parlare di contributi all’editoria meditando di toglierli del tutto per concentrarsi su finanziamenti a fantomatiche “startup innovative”. Traduzione: “tolgo i soldi ai giornali antipatici e che ci criticano per darli a chi dico io”. E quel “chi dico io” la chiamo “startup innovativa”. Magari filiata da qualche conto terzista della Casaleggio Associati. Anche questa è una prepotenza. E fa specie vedere che la sinistra non capisca che se si dovesse fare una gara a chi è più “fascista” in questa maggioranza, il pendolo dovrebbe indicare senza alcun dubbio il movimento dei grillini. Perché, laddove Salvini è criticabile per i toni e spesso per i metodi usati, ma razionale nella gran parte dei contenuti, i suoi alleati invece sono pericolosi squadristi nel merito di ogni questione affrontata. Vogliono punire le imprese abolendo lo Jobs act e la flessibilità; vogliono punire la ricchezza; vogliono chiudere i giornali che non li idolatrano. E se ne fregano se il risultato sarà quello di 500mila nuovi disoccupati nei prossimi sei mesi. Il ragionamento, prepotente e cretino, è questo: erano “precari”, tanto vale ammazzarli del tutto.

E infatti i grillini non riescono di certo con i loro provvedimenti – contro cui si è ribellata tutta l’industria italiana, dentro e fuori da Confindustria – ad arricchire i poveri, ma sicuramente riusciranno a impoverire i ricchi. È la loro idea di redistribuzione. E assomiglia tanto a quella fallimentare del Partito comunista italiani dei primi anni ’70. Quello che non voleva farci vedere la tivù a colori perché aveva paura che diventassimo troppo filo-americani.

Aggiornato il 05 luglio 2018 alle ore 11:50