Tria, ministro a guardia del bidone (e dei bidonisti)

Di certo l’esondazione giudiziaria, come dice il nostro direttore, rischia di provocare strappi nel rapporto fra Matteo Salvini e Luigi Di Maio, tenendo conto, del resto, che il salutare risveglio della Lega dal giustizialismo di quell’era bossiana che ritorna oggi, come un fatale controcanto, dovrebbe almeno contenere l’altra demagogia giustizialista grillina, ma non sarà facile. Basta osservare il caso dei vitalizi nel mirino del Roberto Fico, sdegnato ma impegnato allo stremo in un’opera di una giustizia popolare, sottospecie del giustizialismo, che ha tutta l’aria del simbolismo da quattro soldi; gli stessi che arriveranno (se arriveranno) nelle casse pubbliche se passa questa sorta di controriforma di cui sono leggibili, insieme all’assordante silenzio salviniano, i segni dalla retorica populista spacciata per vox populi, quando non è altro che la mascheratura di un vuoto progettuale sostituito da un ordinamento degno della nuova repubblica delle banane secondo cui chi arriva comanda e taglia i viveri a chi comandava prima.

Certo, ci sono divaricazioni più o meno palesi in questo Governo dal “contratto” come Bibbia di un fare, poco fino ad ora, e sarebbe anche normale se non fosse che lo spaccio dei bluff è sempre aperto sol che si legga con qualche attenzione il mitico “Decreto dignità” con l’accompagnamento del coro plaudente al comando del tenore Di Maio cui, spesso e volentieri, gli acuti vanno oltre lo spartito annunciando prossime mirabilia, anche lui per coprire altri vuoti, altre domande: cosa ne è della flat tax? E della riforma elettorale? E quei dodici milioni di poveri in Italia ci sono ancora? Mah.

In questo quadro deve muoversi il buon ministro Giovanni Tria del quale il Premier Giuseppe Conte aveva bensì notato, dopo il “Decreto dignità”, le sue frenate al vento promissorio dei suoi “vice”, ma facendo buon viso a cattiva sorte lodandolo come un novello pater familias. Va detto che Tria già il mese scorso aveva messo in archivio quei minibot cari ai padani riassicurando pubblicamente gli impegni su debito pubblico e, poco dopo, a proposito della “pace fiscale”, ovvero la reclamata a gran voce rottamazione della cartelle esattoriali fino a 100mila euro, aveva chiarito che nessuna rottamazione “può coprire piani di spesa pluriennali”.

E a proposito della flat tax, o tassa imposta piatta, lanciata dalla Lega né più né meno che come “obiettivo di legislatura” insistendo per l’anno 2019 come anno di applicazione, il ministro tecnico dell’economia e delle finanze ha pacatamente dichiarato che non si rinvia, ma va innanzitutto “trovato il cronoprogramma per l’applicazione progressiva di una forma di flat tax”. Una “forma”, detto così, en passant.

Tria è il ministro che scrive le leggi di bilancio e dunque non può che “tenere la barra fra gli scogli e le impennate demagogiche salvinan-dimaiane” (Italia Oggi), ma è anche e soprattutto il garante dei conti, il che lo qualifica non tanto o non soltanto come uomo del Quirinale quanto, soprattutto, come ministro di garanzia affinché le numerose, impetuose, a volte immaginifiche promesse elettorali di Lega e M5S siano sempre ancorate alla pura e dura realtà bisognosa di irrinunciabili coperture finanziarie che la stessa Costituzione reclama. Insomma, un ministro a guardia del bidone. E, se del caso, dei bidonisti.

Aggiornato il 09 luglio 2018 alle ore 11:50