Il giacobinismo punitivo di Di Maio

Dopo i vitalizi dei deputati tocca alle pensioni d’oro. Luigi Di Maio ha fissato il nuovo obiettivo dell’azione del governo indicando che i trattamenti pensionistici su cui calerà la mannaia delle riduzioni saranno quelli superiori ai quattromila euro.

È inutile entrare nel merito di un programma del genere. Anche se brindare in piazza per festeggiare il taglio di privilegi di un migliaio di vecchietti è un atto maramaldesco e non la festa per la presa della Bastiglia. E puntare a colpire le pensioni che oltrepassano i quattromila euro rivela una concezione pauperistica ed egualitaria di stampo illiberale e neo-maoista ispirata al principio del “tutti eguali nella povertà”.

Più interessante sottolineare le conseguenze di simili iniziative. Cioè il profluvio di ricorsi che seguiranno i tagli maramaldeschi e il pauperismo autoritario. Di Maio irride una simile prospettiva lasciando intendere che la volontà popolare interpretata dal Movimento Cinque Stelle sarà in grado di superare agevolmente qualsiasi ostacolo di natura giudiziaria o burocratica. E la sua sicurezza appare talmente sfrontata da alimentare il sospetto che il vero obiettivo degli esponenti leghisti sia quello di vedere bloccati i provvedimenti anti-privilegi per avere la possibilità di tornare a cavalcare il tema della lotta alla casta anche nelle prossime campagne elettorali.

Ma non interessa se il sospetto sia fondato o meno. Ciò che importa è che il programma grillino, arricchito dalle anticipazioni del Presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, sul conflitto d’interesse e sui tagli ai finanziamenti all’editoria, appare fondato solo sulla convinzione che per essere efficace l’azione politica debba essere necessariamente punitiva. Come se in Italia fosse stata realizzata una rivoluzione e fosse lecito e normale applicare la regola rivoluzionaria cara ai vecchi giacobini che senza un po’ di sano terrore ogni virtù risulta impotente e irrealizzabile. La rivoluzione, però, a dispetto delle convinzioni grilline, non è ancora avvenuta. L’Italia è ancora uno stato di diritto. Dove le punizioni ingiustificate susciteranno reazioni giudiziarie sempre più numerose e massicce. Tali da paralizzare il sistema della giustizia e a creare un clima di pesante tensione all’interno dell’intera società nazionale.

Di Maio considera risibile una simile prospettiva? In uno stato di diritto presto o tardi si torna a votare e il riso degli stolti punitori viene sempre punito.

Aggiornato il 16 luglio 2018 alle ore 11:01