La dignità degli asini volanti

giovedì 19 luglio 2018


Come ho già avuto modo di scrivere su queste pagine, il tanto strombazzato “Decreto dignità” in sé non costituisce un danno irreparabile per il nostro sistema economico, per quanto ci si trovi di fronte ad un fulgido esempio di eterogenesi dei fini, come si suol dire. Tuttavia esso, insieme a tutta un’altra serie di preoccupanti intenzioni manifestate dal ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico (ultima in ordine di tempo quella di voler punire esemplarmente alcune banche italiane), rappresenta un pessimo segnale per chiunque abbia in animo di investire le proprie risorse in Italia, tanto in una qualunque attività di mercato che nell’acquisto dei titoli del nostro colossale debito pubblico.

In particolare, proprio in merito a quest’ultimo elemento, la cui sostenibilità è tornata prepotentemente ad inquietare la finanza europea, una domanda sorge spontanea: ma chi comprerà e a che prezzo i circa 400 miliardi di titoli di Stato che ogni anno l’Italia è costretta a collocare sul mercato, soprattutto quando sarà finito l’effetto calmierante della Banca centrale europea?

In tal senso, al di là delle altisonanti chiacchiere di un Luigi Di Maio che cerca di spacciare, forse anche riuscendoci, al proprio elettorato le sue controriforme ottocentesche, piene zeppe di vincoli e di norme punitive, per cambiamenti epocali, gli investitori interni ed esteri, come dimostra l’impennata dello spread di queste ultime settimane, tendono a valutare con maggiore obiettività dei tifosi pentastellati gli indirizzi economici e finanziari di chi chiede loro quattrini in prestito. E se tali indirizzi, oltre a essere estremamente confusi, contengono pulsioni dirigiste, come nel caso del citato decreto dignità, o autolesionistiche, come nei riguardi dello sciagurato no al trattato di libero scambio col Canada, o addirittura restauratrici di una idea vetero-nazionalistica dell’economia, come sta accadendo nei confronti della decotta Alitalia, che Di Maio vorrebbe riportare ai “fasti” di una compagnia di bandiera, il messaggio che viene percepito all’esterno rischia di risultare devastante.

Ciò, in soldoni, non può che determinare una accresciuta percezione del rischio Paese, con una inevitabile ricaduta prima sullo spread, con l’aumento dei tassi d’interesse, e successivamente sulla vita reale di tutti gli italiani, attraverso un pericoloso effetto domino che, come sempre accade in questi casi, penalizzerà in primis e duramente le fasce più deboli della popolazione.

D’altro canto, repetita iuvant, chi comprerebbe e a che prezzo i titoli del debito di un Paese dominato da un modello economico superfisso, secondo una brillante definizione usata spesso dall’ottimo Michele Boldrin, in cui si legifera per riportarlo dentro gli angusti steccati dell’autarchia, entro cui redistribuire povertà e posti di lavoro, poco produttivi e sottopagati, inamovibili come quelli dei medievali servi della gleba?

La risposta appare del tutto scontata a noi comuni mortali, ma non certamente per chi crede ai miracoli e alla dignità degli asini volanti.


di Claudio Romiti