Sulle stragi non fermarsi alla verità supposta

venerdì 20 luglio 2018


La giustizia di stampo pasoliniano, quella fondata sul principio dell’“io so ma non ne ho le prove”, ha stabilito che la strage di via D’Amelio in cui perse la vita Paolo Borsellino venne causata dalla trattativa tra lo Stato e la mafia. Non ci sono riscontri oggettivi, solo supposizioni. Ma queste supposizioni sono sostenute da una cultura così radicata nella società italiana, quella appunto nata dalla suggestione artistica di Pasolini e alimentata da decenni di giustizialismo radicale, che assumono il tratto della verità indiscutibile.

Contestare questa verità giudiziaria senza prove è inutile. E anche controproducente. Perché chi lo fa rischia di assumere il ruolo non del difensore della giustizia giusta, ma della mafia e dello Stato deviato. Per evitare un rischio del genere non c’è altro da fare che prendere atto della verità fondata sulle supposizioni pretendendo, però, che si parta da essa per arrivare a una verità meno supposta ma più fondata ed esauriente.

Anche questa operazione non è facile. Perché si scontra con la convinzione che una volta stabilita la responsabilità della mafia e dello Stato deviato non ci sia niente altro da scoprire. Se la colpevolezza è stata definita, la legittima aspirazione del Paese a sciogliere il mistero delle stragi degli anni ’80 è soddisfatta: un po’ di manifestazioni, un po’ di cerimonie, tanta retorica e la storia è sigillata e archiviata.

Ma la lapide della retorica non scioglie l’inquietudine connessa alla verità supposta. Se non si scoprono gli artefici dello Stato deviato e le loro motivazioni come escludere che la malattia di allora non sia presente anche oggi nelle istituzioni? E se lo Stato continua a essere colluso con la mafia, come da più parti si continua tranquillamente ad affermare sempre sulla base di supposizioni pasoliniane, come pretendere di guarire i mali di una società nazionale costretta a vivere sotto la cappa di istituzioni criminali?

La verità delle sentenze senza prove e della retorica liquidatoria non può soddisfare. Se si vuole ridare agli italiani l’indispensabile fiducia nella loro nazione bisogna fare chiarezza fino in fondo. Senza fermarsi ai facili capri espiatori ma affondando il bisturi della conoscenza fino alla radice del cancro da estirpare.


di Arturo Diaconale