Arcore, abbiamo un problema

Il direttore Arturo Diaconale, nell’editoriale di ieri dedicato al rinnovo del Consiglio d’Amministrazione della Rai, ha giudicato un grave errore politico la decisione di Forza Italia di rinunciare ad avere un proprio esponente al vertice dell’azienda radiotelevisiva pubblica. La sua valutazione non sarebbe dettata dal risentimento del fatto che, essendone stato fino ad oggi consigliere d’amministrazione, avrebbe meritato, per attitudine e lavoro svolto, una riconferma nel ruolo ma sarebbe la risultante di un’analisi politica. Ovviamente gli crediamo. E accettiamo il suo invito a parlarne.

Non è, infatti, per niente comprensibile la motivazione che ha spinto Forza Italia a rinunciare alla presenza nell’organo di indirizzo della Rai che, per chi l’avesse dimenticato, resta la più grande impresa culturale e d’informazione del Paese. Si tratta di garantire il pluralismo delle sensibilità culturali e ideali sul quale si regge la democrazia italiana. Un atto di resa, dunque, a un modello d’informazione e di formazione culturale dei cittadini dal quale Forza Italia si sente distante? Non siamo in grado di dirlo con certezza. Piuttosto, ci sorge il sospetto che si sia trattato di un atto di scambio. È quella presa di possesso della presidenza della Commissione parlamentare della Vigilanza Rai che suona stonata come una campana. Riteniamo che sia stato un autentico autogoal politico e d’immagine aver indicato alla testa dell’organismo di controllo radiotelevisivo il neo-senatore forzista Alberto Barachini. Intendiamoci, Barachini è persona capace e ha un eccellente profilo professionale che lo rende particolarmente esperto nella materia televisiva. Ma è il fatto di essere un dipendente di Mediaset, che è azienda concorrente della Rai, che rischia di minarne la credibilità nella funzione.

Forza Italia aveva a disposizione un parterre di collaudate personalità parlamentari per ricoprire quel ruolo. Da Paolo Romani a Maurizio Gasparri, tanto per citare i primi della lista. Perché proprio un giornalista di fresco approdato in Parlamento dopo anni di onorato servizio a Cologno Monzese? E poi lì, nel posto che consentirà agli avversari di Silvio Berlusconi di gridare al conflitto d’interessi? Le cronache riportano che sia stato il vecchio leone di Arcore in persona a volere Barachini alla presidenza della Vigilanza Rai.

Per quanto stimiamo Berlusconi questa volta non possiamo tacere il nostro giudizio: è stata una toppa colossale. Se l’intenzione era il ricambio del personale politico di Forza Italia, ci si consentirà di dire che si è partiti dalla casella sbagliata. Sarebbe stato molto diverso se il 4 marzo, alle politiche, Forza Italia avesse ricevuto un largo consenso. Avrebbe potuto gestire una nomina controversa con maggiori possibilità di ridurne l’impatto negativo presso l’opinione pubblica. Ma sappiamo com’è andata, il partito azzurro non è mai stato così basso nel gradimento degli italiani e, negli ultimi mesi, il trend segnalato dai sondaggi è in netto calo. Il problema è dunque recuperare segmenti significativi del tradizionale bacino elettorale moderato e riformista. Il solo sospetto che abbia fondamento il luogo comune contro il quale per anni Forza Italia ha dovuto combattere, cioè di essere un partito-azienda longa manus degli interessi commerciali di Mediaset, potrebbe trasformare la scelta di Barachini nella “pistola fumante” da tempo cercata dagli anti-berlusconiani. Si dirà: ma c’è stato accordo con gli altri partiti. Bella scoperta. Se il tuo avversario chiede una corda per impiccarsi, sarai ben lieto di fornirgliela, debitamente insaponata. Poniamocela la domanda: se si tornasse alle urne domani mattina chi voterebbe per un partito sospettato di fare soltanto gli interessi del suo padre-padrone, e non quelli dell’intera nazione? C’è qualcosa che non quadra. Berlusconi non ha il carattere del rinunciatario. Se ha deciso di non puntare alla risalita nel consenso degli italiani è segno che non è più interessato a guidare un grande movimento d’opposizione al Governo giallo-blu.

Forse nelle intenzioni del vecchio leone di Arcore c’è soltanto la prospettiva di un ridimensionamento della forza politica che fa capo a lui. Un piccolo partito presidiato da una pattuglia di fedelissimi che si preoccupi di mantenere, all’interno delle istituzioni, alcune posizioni strategiche necessarie alla difesa degli interessi di un grande gruppo industriale qual è Mediaset. Anche la decisione di rinviare sine die il capitolo del rinnovamento del partito invocato dai suoi quadri intermedi e territoriali lascia pensare che il riposizionamento tanto atteso andrà nella direzione di un ridimensionamento delle aspettative della parte di classe dirigente non direttamente coinvolta nel progetto di ristrutturazione. Non c’è nulla di male nel darsi un tale obiettivo. L’importante è che lo si renda noto ai militanti e ai dirigenti per consentirgli di ritirarsi in buon ordine a vita privata o di cercare strade nuove per continuare a combattere la battaglia politica.

Se è tramontato il sogno di fare di Forza Italia il grande partito della destra liberale non è detto che qualcun altro non possa provarci sotto altre insegne. E non per questo incorrere nei delitti di lesa maestà e di alto tradimento. L’esperienza insegna che in politica, come nella vita, tutto è possibile e ciascuno ha il diritto di provare a cambiare il proprio destino, individuale o collettivo che sia. L’importante è non restare fermi a contemplare il presente sperando che un evento provvidenziale venga all’improvviso a toglierci le castagne dal fuoco della nostra immobilità. Come dicevano gli antichi: Faber est suae quisque fortunae. Ciascuno è artefice della propria sorte. Prima dirigenti e militanti di Forza Italia ne prenderanno coscienza e meglio sarà per tutti. Per la destra, per la democrazia italiana, e per la speranza di un pensiero politico nobile, quello liberale, di sopravvivere a se stesso.

Aggiornato il 20 luglio 2018 alle ore 12:03