La vittoria di Conte alla Casa Bianca

Oggi, la maggior parte dei media, rigorosamente allineati al mainstream del “politicamente corretto”, punta i riflettori sull’allarme razzismo in Italia (che non c’è) nel tentativo di oscurare la notizia dell’intesa (che c’è) tra Donald Trump e Giuseppe Conte.

La sua missione americana restituisce al Paese un ruolo centrale nelle dinamiche geopolitiche dello scacchiere del “Mediterraneo allargato”. Bisogna ammettere che questo Governo giallo-blu, almeno sul fronte della politica internazionale, coglie risultati importanti. Il test di Washington non era per niente facile e gli esiti erano nient’affatto scontati. Eppure, il diafano Conte ha convinto Trump a costituire una cabina di regia Italia-Usa per affrontare le questioni della sicurezza nel Mediterraneo, della lotta al terrorismo islamico e della stabilizzazione libica.

In soldoni, l’amministrazione americana intende tornare ad avere voce in capitolo in un’area d’interesse che era stata devastata delle ambiguità ideologiche e strategiche del predecessore Barack Obama. La Casa Bianca, per farlo, deve appoggiarsi a un partner affidabile e per il ruolo di spalla avrebbe scelto l’Italia. Al nostro Paese viene offerta in contropartita la leadership nella gestione della crisi interna alla Libia, considerata chiave di volta per la stabilizzazione complessiva dell’area nella quale gravitano gli strategici Paesi del Nord Africa. Certo, a fronte di un tale riconoscimento di ruolo l’Italia dovrà dare più di un segno di buona volontà all’alleato d’oltreoceano, ma una volta tanto il sacrificio richiesto varrà tutto il beneficio che se ne potrebbe trarre dal cambio radicale di scenario.

In particolare, è stato chiesto a Conte di operare per un riequilibrio della bilancia commerciale con gli Stati Uniti che, al momento, pende dalla parte italiana. C’è un disavanzo di oltre 26 miliardi di euro (dato InfoMercatiEsteri 2016) tra l’import e l’export Italia-Usa che Trump vorrebbe ridurre. Se non si vuole che i suoi dazi facciano male al sistema produttivo nostrano è giusto intervenire. Quando s’incontra qualcuno che dice in modo schietto: io compro da te se tu compri da me, non gli si può fare spallucce se non a prezzo di farselo nemico. Vedere la parabola discendente della signora Angela Merkel per credere. C’è poi la partita delle commesse militari che Trump vuole rilanciare. Entrambi i Paesi sono produttori di armi e di sistemi complessi di difesa. Bisogna che ci si parli di più e che si mettano in pista maggiori sinergie nel comparto. Essere soci in affari è un modo diverso, ma ugualmente efficace e più desiderabile, dall’essere semplicemente compratori. L’amministrazione di Washington valuta strategica la realizzazione del Tap, il gasdotto transadriatico. Per Trump è un modo per mettere in difficoltà il concorrente russo che spadroneggia sul mercato energetico europeo. Il Governo giallo-blu finora ha gigioneggiato sull’argomento, strizzando l’occhio ai contestatori che in Puglia non vogliono il tubo che porta il gas dall’Azerbaigian. Tuttavia, il nocciolo della geopolitica sta nel riconoscere l’interesse prevalente in un contesto che prevede dei pro e dei contro. Ora bisogna ponderare la scelta: vale più il progetto strategico di rafforzamento dell’alleanza con gli Usa o la salvaguardia delle poche decine di olivi che verrebbero sradicati per lasciare posto alla pipeline del Tap?

Sul fronte delle missioni militari all’estero Trump non ha da lamentarsi dell’Italia. Più di quello che il Paese fa nei più disparati teatri bellici del mondo, non può. Siamo ancora in Afghanistan e ci restiamo. I nostri contingenti presidiano il confine bollente tra Israele e Libano. Ad oggi le nostre Forze armate sono impegnate in 6.090 operazioni nell’ambito di 32 missioni internazionali in 22 Paesi. Dopo gli Stati Uniti l’Italia è tra le nazioni più attive in materia di Peacekeeping. Un Paese che fa tanto dovrebbe contare moltissimo sulla scena globale. Invece, i Governi del centrosinistra sono riusciti nell’impresa di far diventare l’Italia lo scendiletto dell’Europa franco-germanica. Ma oggi la ruota ha cominciato a girare. Prima a Bruxelles con la questione dello stop agli sbarchi d’immigrati sulle coste italiane ed ora a Washington con l’accordo Conte-Trump, l’Italia batte un colpo.

Ma non illudiamoci che i nostri diretti concorrenti, a cominciare da Emmanuel Macron, accettino di buon grado la novità. In particolare sulla Libia. I francesi non molleranno l’osso facilmente. Tocca al Governo mostrare cosa è capace di fare. Dalla sua ha un grande vantaggio che, verosimilmente, ha giocato nella scelta di Trump: gli apparati di sicurezza e diplomatici italiani conoscono le dinamiche interne libiche come nessun altro al mondo. Si tratta di un valore aggiunto alla qualità della nostra politica estera che il Governo deve saper sfruttare al meglio. Ma se si vuole conseguire il risultato è tempo che si decida d’impegnare maggiori risorse economiche e umane nello “scatolone di sabbia”. Intanto, si lasci pure la sinistra a farsi male da sola con la storiella dell’allarme razzismo. Durante la campagna elettorale i “compagni” hanno provato a montare la panna del ritorno del fascismo. È stato un totale disastro. Ora s’inventano la caccia al negro. Vadano avanti così che, come sostiene un esponente di Forza Italia: per ogni allarme lanciato sul razzismo incipiente, un moderato decide di votare Matteo Salvini. Ma quanti voti ancora la sinistra vuole regalare al “Capitano” leghista?

Aggiornato il 31 luglio 2018 alle ore 11:45