Non guardano a sinistra ma a Est

giovedì 30 agosto 2018


Ai bei tempi della “Prima Repubblica” (ora si sta facendo di tutto per rimpiangerla) il Partito comunista ispirato direttamente innanzitutto a Stalin, si proclamava rivoluzionario e, ça va sans dire, di sinistra. Niente di male, si capisce, anche se in quella pianta politica esistevano partiti non di certo comunisti, ma comunque di sinistra e non sempre sedotti dalle sirene rosse del Cremlino. In questo quadro politico, destinato a durare decenni, la forza seduttiva del comunismo e suoi derivati era consistente, anche soprattutto se si pensa alla potenza antioccidentale, ovvero antiliberale, nell’utilizzo soprattutto del termine “sinistra” col quale, quasi sempre, si tendeva ad affievolire e a rendere potabile la parola comunista, poco o punto rassicurante per i più. Poi qualcuno fece osservare assai acutamente che il partito di Gramsci, Togliatti e Berlinguer aveva gli occhi puntati e pieni di devozione (e dipendenza) più che a gauche, a Est dove l’impero comunista aveva buttato gli occhi e il suo potere su non poche nazioni, fra cui Ungheria, Bulgaria, Cecoslovacchia, grazie, soprattutto, alla distruzione in quei Paesi della democrazia in atto nell’Occidente.

Questa introduzione non è del tutto superflua anche guardando all’Italia di oggi dove governano insieme la Lega di Salvini (che fu di Bossi e Maroni) e il M5S, che sembrerebbe un po’ meno di Grillo e più di Di Maio, ma sempre e comunque ritenuto un movimento di sinistra. Il che, tra l’altro, desta qualche riflessione sia su quella specie di droite cui la Lega non è estranea, oltre che alleata a una Forza Italia comunque di centro, e pure qualche notazione su quella sottospecie di gauche cui i grillini guardano, tra l’altro con successo, posto che hanno contribuito a un dimagrimento notevole di quel Pd al quale l’appartenenza alla sinistra doc non è mai dispiaciuta. Ma tant’è. Insomma, il partito grillino, con tutte le sue belle confusioni ideologiche interne, si considera ed è considerato di sinistra tant’è vero che le dichiarazioni pluri-quotiodiane dell’instancabile (a parole) suo vice presidente del Consiglio insistono, non tanto o non soltanto sulle malefatte dei governi a guida Pd, ma sulle riforme da fare onde curarne i danni, per esempio della Fornero, e rilanciando ad ogni piè sospinto le obbligatorie cure drastiche, anche se, a tre mesi del loro insediamento nel governo del cambiamento e del nuovo che avanza, di riformismo nei fatti s’è ne visto ben poco.

E d’altra parte, gli stessi incontri istituzionali internazionali non sembrano, almeno fino ad ora, improntati a una prevalente se non addirittura ovvia simpatia per i Paesi occidentali dei quali, peraltro, l’Italia è alleata, a cominciare da quelli europei per così dire doc, cioè fondatori, ma è proprio guardando a questo nostro continente e ai suoi attuali massimi responsabili, italiani in primis, che le preferenze governative, del Vice presidente Salvini, ma anche del premier, sono dirette, e anche in pompa magna mediatica soprattutto per Salvini e Orbán (Ungheria), lasciando in penombra il premier Conte con un Babis (Repubblica Ceca) che quanto a distribuzione di immigrati ha confermato il suo no di sempre. Gli immigrati, appunto. Ma anche con l’ungherese Orbán, così ricco di lodi per Salvini, il tasto europeo immigratorio per dir così solidale, non pare sia stato premuto, garantendone anche agli amici ungheresi la quota zero. L’aspetto diciamo curioso dell’incontro italo-ungherese riguardava la sua sede, ovverosia il Palazzo del Governo, la Prefettura di una città che, per come è apparsa ai nostri occhi per ragioni di ufficio, assisteva nel contempo ad un incontro effettivamente popolare di milanesi niente affatto d’accordo col duo del vertice in Prefettura, del quale va pur sottolineato il significato e l’obiettivo sostanzialmente antieuropeo, innanzitutto per un cambio radicale dei trattati. E poi? Poi si vedrà.


di Paolo Pillitteri