Primipilus Gloriosus ovvero il Vantone di primo pelo

martedì 11 settembre 2018


Mi pareva troppo paragonarlo all’immortale Miles gloriosus di Plauto, se non altro perché celebre e classico non lo è; non ancora. Così ho sentito più appropriata al personaggio la definizione di Primipilus gloriosus, vantone di primo pelo o pilo, che nel latino classico indicava il centurione primipilo, di prima linea, e poi, in età imperiale, passò a designare il capo delle sussistenze militari. Oddio, per restare a Plauto, gli s’addiceva pure Peditastellus, misero fantaccino. Ma Primipilus gloriosus mi piace di più: suona meglio e rende il concetto. Sto parlando, ovvio, di Luigi Di Maio, elevato dalla democrazia addirittura a vice premier, capo di un partito fondato da un comico che irride la politica. Insomma un Plauto al pesto, turpiloquio compreso. Mentre il mentore è un comico di professione, l’allievo fa ridere, senza volerlo, con ingenue fanfaronate da novellino.

Sebbene rattenuto e serioso, non riesce a nascondere del tutto la voluttà che lo pervade a spararle grosse. Né il dubbio né il forse lo sfiorano. Prescrive, giudica, sanziona, indirizza con in testa la corona del sapiente che conosce la vera causa dei mali e i farmaci adatti. Le sue medicine sono preparati galenici combinati nel mortaio giacobino con il pestello dell’egualitarismo, dello statalismo, del moralismo. Dai ponti crollati agli orari dei negozi decide su tutto. Dice d’aver già fatto ciò che annuncia di voler fare. Non argomenta, asserisce, irridente e incurante delle obiezioni, sfoggiando quella logica parasocratica che il duo Longanesi & Montanelli esemplificava con il sillogismo del salame: “Il salame fa bere; bere spegne la sete; il salame estingue la sete!”.

Erettosi a paladino dei lavoratori senz’aver mai lavorato, ha trovato un impiego politico grazie all’antipolitica. Tuona di voler salvare la famiglia impedendole di fare la spesa quando lui lo ritiene disdicevole, penoso, dispendioso. Dopo aver riempito la testa degl’Italiani con l’assioma “uno vale uno”, se ne va in giro a far intendere agli “uno” che lui li vale tutti. Con la spocchia del pivello presuntuoso e saputello, io, io, io, vuole e disvuole disinvoltamente, come se niente fosse. L’Ilva era giardino di delizie in campagna elettorale. È rimasta acciaieria pure potenziata per sua decisione da ministro. Pretende di aumentare l’occupazione stipendiando i disoccupati e pensionando gli occupati.

Se questo è il capo, che mai sarà il partito? Di Maio, lui medesimo, neppure lo sa. Come scriveva Il quotidiano del Popolo di Pechino dopo la morte di Mao, “Il dogmatico cavalca l’asino standogli proprio sulla coda”. La coda dunque è la bussola del capo. Il movimento pentastellato è un magma indefinibile, la giustapposizione, in negativo, di istanze ed aspettative strampalate fino all’antiscientificità, con il minimo comune denominatore dell’acredine di un nuovismo antisistema ma non del tutto, perché dovrà conservare per durare.

Insomma, un equivoco ermafrodito. Osservando tale politica incarnata, dobbiamo concludere che oggi chi non ha un mestiere specifico si dedica alla riforma della società. Ricercare l’ideologia dei grillini e del loro capo è futile, quanto stabilire se siano di destra o di sinistra. Parafrasando un pensiero di Raymond Aron a proposito dei comunisti, possiamo domandarcelo anche noi: “A quale condizione si può essere allo stesso tempo grillino, intelligente ed onesto? Si può essere grillino e intelligente, ma in questo caso non si è onesti intellettualmente. Certo non mancano grillini sinceri, ma allora è l’intelligenza che non è gran che”.

Com’è noto, il millantatore vanaglorioso Pirgopolinice sarà irriso e turlupinato dal suo stesso servo Palestrione.


di Pietro Di Muccio de Quattro