Moscovici, Diaconale e i piccoli Mussolini

Il commissario Ue agli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici, ha detto che in giro non c’è un Adolf Hitler ma ci sono tanti piccoli Benito Mussolini. Il riferimento alla situazione italiana è palese. La sua dichiarazione non è stata intelligente ma banalmente offensiva.

Il direttore Arturo Diaconale nel suo articolo “Moscovici ha un pizzico di ragione” si è speso in un lodevole atto di generosità intellettuale nel tentativo di nobilitare con argomenti sensati l’insulto del transalpino. Diaconale lo ha spiegato evocando il perenne contrasto tra i fautori del suprematismo statale e i sostenitori delle libertà individuali, in particolare nell’economia. Siamo certi, però, che Moscovici non arrivasse a tanta sottigliezza argomentativa. Il suo intento si fermava a dare del fascista al Governo italiano e al ministro Matteo Salvini nello specifico. Comunque, l’ipotesi avanzata da Diaconale, sebbene non fosse nelle corde del commissario Ue, merita di essere coltivata. Egli sostiene che il tratto che accomuna l’odierno governo a quello fascista è nella “ricorrente tendenza dei politici nostrani, questa sicuramente di stampo mussoliniano, a riportare sempre e comunque lo Stato al centro della scena politica ed economica nazionale”.

Diaconale non sbaglia, ma a nostro avviso dovrebbe parzialmente aggiustare il tiro. Più che di una visione fascista, che fu la risultante di una combinazione eclettica di diverse correnti di pensiero anche tra loro divergenti, saremmo propensi a considerarlo un ripescaggio, da parte dall’ala destra grillina che fa capo a Luigi Di Maio, di alcuni fondamenti del pensiero filosofico di Giovanni Gentile. In particolare di quelli che ruotano attorno al concetto di Stato etico. Per il filosofo siciliano lo Stato è realtà etica, nel senso che esso, pur non ponendosi come limite alla libertà del cittadino, la ingloba per divenire espressione concreta e universale del volere di ogni singolo individuo. Per Gentile anche la politica è morale perché è volontà di popolo in atto. Lo Stato, in quanto dotato di volontà, è persona. Tale condizione inibisce alla mano pubblica di assumere una posizione neutrale nella regolazione delle relazioni economiche, come vorrebbe invece la tradizione liberale. Lo Stato nella sua precipua funzione di realizzatore dalla legge morale si configura come costruttore simbolico e materiale del tessuto connettivo che tiene insieme la comunità nazionale. Ne consegue che anche nel processo d’infrastrutturazione della sottostante società civile lo Stato deve esserne dominus e padrone e non semplice destinatario e fruitore. In concreto, se per Gentile l’economia non può che svilupparsi all’interno e sotto la volontà-guida dello Stato, l’atto economico, anch’esso espressione di potenza collettiva, non può che essere etico e politico. Dall’osservazione dell’esperienza governativa giallo-blu salta agli occhi la sorprendente assonanza tra il pensiero gentiliano e l’azione dell’ala destra grillina.

Si prenda il caso della ricostruzione del ponte crollato a Genova. Cosa dicono i Cinque Stelle governativi? Che l’impresa privata non deve essere coinvolta nella ricostruzione perché non sarebbe etico associarla ad un atto che compete allo Stato. Siamo alla trasmutazione in prassi amministrativa della critica radicale gentiliana al liberalismo individualistico moderno e alla sua natura atomistica e materialistica. Non sappiamo se Luigi Di Maio e il ministro Danilo Toninelli, suo sodale ideologico, si siano formati sui testi del filosofo neoidealista. Riteniamo la circostanza altamente improbabile. È più verosimile che i due grillini ci siano arrivati da soli a immaginare un divenire della Storia nazionale messo interamente nelle mani dello Stato. A determinare tale cambio di prospettiva vi sarà stata, come ipotizza Diaconale, una motivazione utilitaristica. Forse un sillogismo, più che un algoritmo, è il segreto del loro appeal propagandistico: “Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato/i grillini, governando, puntano ad occupare i vertici istituzionali/Ergo - il Movimento Cinque Stelle è lo Stato”.

Tale processo di concatenamento logico-deduttivo fa di Danilo Toninelli e Di Maio due gentiliani a loro insaputa e del movimento grillino l’epigono concettuale della rivoluzione fascista. Tuttavia, Gentile indentificava nella forma totalitaria il luogo naturale nel quale l’Uomo, intento a realizzare la legge morale, s’impegna a instaurare una vita “superiore” contenendola nell’armonia etica dello Stato. Sarà questo il prossimo gradino nella catena evolutiva dei pentastellati? In attesa di risposta a riguardo c’è un problema assai più pressante della critica che il grillismo, sia dell’ala destra governista di Luigi Di Maio, sia di quella rivoluzionaria-marxista capeggiata da Roberto Fico, sia dell’articolazione movimentista-qualunquista che si riconosce in Alessandro Di Battista, rivolge alla società borghese-capitalistica, incistata nelle obsolete istituzioni liberali della democrazia parlamentare.

Diaconale non ne parla, probabilmente per ragioni di bon ton di coalizione. Ma sta di fatto che la visione di Stato etico dei Cinque Stelle non è lontana da quella di Stato organico, che ha i suoi addentellati nello spiritualismo comunitarista dell’“unità politica organica” della nazione, propria della Lega “2.0” di Matteo Salvini. Sarà per questo che i due partner di governo, salviniani e grillini dell’ala destra, sono più simili politicamente e intellettualmente coesi di quanto diano a vedere. Nulla quaestio se non fosse che la Lega è nel centrodestra che, a sua volta, affonda le radici nel riformismo liberale. La contraddizione originata dall’“organicismo” salviniano non può durare a lungo. È tempo che il “Capitano” s’impegni a risolverla, semplicemente decidendo in quali staffe intenda tenere i piedi. Finora le ha inforcate tutte e persa nessuna.

Aggiornato il 18 settembre 2018 alle ore 11:02