Le tre mosse di Macron per isolare l’Italia

Segnatevi la data di ieri, 20 settembre. Si sono verificati in contemporanea tre eventi, in apparenza slegati l’uno dall’altro ma che, se posti in correlazione, indicano il punto in cui la Storia curva. 1. Il presidente francese Emmanuel Macron, al vertice informale di Salisburgo, dichiara il proprio appoggio alla proposta del presidente Jean-Claude Juncker di potenziare con 10mila unità il personale dell’agenzia europea Frontex, allo scopo di proteggere i confini esterni dell’Unione. Poi, a sipario calato sul vertice, minaccia apertamente l’Italia, che è scettica sull’effettiva utilità di Frontex. “I Paesi che non vogliono rafforzare Frontex usciranno da Schengen”, questo il suo diktat. 2. La capo-economista dell’Ocse, Laurence Boone (francese), alla presentazione dell’Interim Economic Outlook a Parigi, dichiara testualmente: “la Brexit e l’Italia sono tra i principali rischi che potrebbero impedire all’Europa di prosperare”. 3. Libia. Alla ripresa degli scontri a Tripoli, da Bengasi il generale Khalifa Haftar, cane di paglia della strategia francese nella ex-colonia italiana, si dice pronto a formare un fronte militare nella regione occidentale (Tripolitania) dopo aver “preso il controllo di alcuni punti importanti” che tradotto significa: “prepariamo l’assalto finale al governo filo-italiano di Fayez al-Sarraj”.

Tre indizi che conducono alla stessa mano: quella di Emmanuel Macron che muove le sue pedine sulla scacchiera per l’attacco definitivo all’Italia dei sovranisti-populisti. È l’incipit di una strategia chiara per difendere il proprio interesse nazionale che si focalizza sulla questione migratoria dal Sud del Mediterraneo. Macron ha il problema di annientare Matteo Salvini per riportare il nostro Paese ad essere la camera di contenimento - via corridoio libico - dell’immigrazione proveniente dall’Africa Occidentale e Centrale. Non è questione di buonismo multiculturalista ma di difesa dello status quo. La chiusura della frontiera meridionale, praticata dal Governo giallo-blu, nel tempo potrebbe determinare un riflusso forzato dei migranti verso i Paesi d’origine con inevitabili contraccolpi sulla stabilità di quell’area. Che poi corrisponde alle ex-colonie francesi. Sebbene siano divenute da mezzo secolo Stati indipendenti, nella sostanza esse sono ancora sotto l’influenza di Parigi. Si tratta di 14 Paesi, dal Camerun, al Senegal, al Mali, alla Costa d’Avorio, solo per citarne alcuni, ricchi di materie prime che potrebbero avere ottime possibilità di sviluppo ma il paternalismo imperialista francese non lo permette. Parigi ne controlla le singole economie manovrando la moneta unica dell’area: il franc-Cfa. Istituito il 26 dicembre 1945, il franc-Cfa era uno strumento di protezione per assicurare la stabilità dei cambi all’interno della zona d’influenza francese nella fase post-bellica. “Cfa” stava inizialmente per Colonie francesi d’Africa. Dopo la concessione dell’indipendenza, l’acronimo ha significato: “comunità finanziaria africana” per la zona occidentale e “cooperazione finanziaria in Africa centrale” per le ex colonie dell’Africa centrale. La “zona franco” è garantita dal Tesoro francese che assicura la convertibilità del franc-Cfa in euro.

Ma la generosità di Parigi non è gratuita. Il Governo francese impone alla banche centrali dei Paesi appartenenti alle due comunità africane di depositare a garanzia di solvibilità il 65 per cento delle riserve di cambio di cui dispongono in un “conto d’operazioni” acceso presso la Banca di Francia e nelle disponibilità del Tesoro francese. Certo, i capitali possono circolare liberamente dall’Europa alla “zona franco” senza subire gli inconvenienti legati ai passaggi valutari e gli investimenti esteri sono protetti da rischi di deprezzamento monetario. Ma se gli africani delle zone d’influenza francese sono costretti a lasciare nelle mani dei loro ex-padroni oltre metà di ciò che producono, è normale che una parte di essi, per lo più giovani e con qualche livello d’istruzione, decidano di emigrare verso l’Europa.

Finora, l’Italia si è fatta carico di assorbire e trattenere, nei limiti del possibile, il flusso in uscita dall’Africa. Ma il cambio di passo del Governo rischia di creare un serio problema all’inquilino dell’Eliseo. Gli immigrati ricacciati indietro potrebbero rompere consolidati equilibri di potere. Macron si è fatto interprete delle preoccupazioni espresse dai circoli finanziari e industriali transalpini per la piega presa dagli eventi politici in Italia. Cosa accadrebbe, si saranno chiesti, se dopo Roma giungesse un populista al timone di Bruxelles? Presumibilmente, verrebbero rese evidenti le reali cause dell’immigrazione dall’Africa occidentale e centrale, per le quali Parigi e qualche altro sodale europeo hanno grandi responsabilità. Da qui l’attacco coordinato su più fronti di Emmanuel Macron all’Italia. Minaccia d’isolamento punitivo in Europa; discredito del Belpaese da parte di organismi economici internazionali, solo formalmente super-partes; sconfitta militare in Libia. Ecco gli ingredienti di un’offensiva lanciata in un giorno solo. Perché Macron lo faccia e a cosa miri è fin troppo chiaro. Resta da capire se il governo italiano sia pienamente consapevole di cosa sta accadendo e come intenda reagire alla manovra d’accerchiamento del leader francese. Siamo sinceri, non è facile venirne fuori. Eppur si deve se si vuole evitare lo scacco matto.

Aggiornato il 24 settembre 2018 alle ore 10:20