Il governo dell’amministrazione

Non sembri una stranezza il governo dell’amministrazione. Nonostante l’annosa istituzione di un ministero per ‘governare’ i ministeri o della funzione pubblica o della riforma burocratica o come altro è stato chiamato, la Pubblica amministrazione gode giustamente della disistima popolare. Per respingere all’istante l’imputazione di ‘accusa generalizzata’ prevedibilmente mossami dagl’impiegati pubblici capeggiati, guarda un po’, dal ministro in persona e dai sindacati del pubblico impiego, dirò sùbito che nell’apparato pubblico esistono di sicuro isole di efficienza e campioni di laboriosità. Solo che, chissà perchè, capita di rado tal felice incontro. Per Costituzione, governo e amministrazione sono separati eppure uniti: il presidente del Consiglio mantiene l’unità dell’indirizzo amministrativo e i ministri sono responsabili degli atti dei loro dicasteri; le pubbliche amministrazioni devono assicurare anche l’equilibrio dei bilanci, mentre i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione e i pubblici uffici devono essere organizzati per legge in modo da assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.

Anche così, appena accennati, i princìpi costituzionali sembrano assicurare il migliore rapporto possibile tra cittadini e Stato. Se aggiungiamo che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce il diritto ad una buona amministrazione, all’accesso ai documenti e a ricorrere a un Mediatore, il rapporto sembra addirittura idilliaco. Sulla carta!

La differenza in peggio tra mondo legale e mondo reale è tale, invece, che l’amministrazione, anziché essere governata, viene all’evidenza sgovernata e, delle tante mancanze e inadempienze politiche e legislative ascrivibili ai governi, d’ogni colore, questa di “disamministrare l’amministrazione pubblica” è forse la peggiore, perché il potere esecutivo, senza un adeguato strumento per eseguire, resta o mero flatus vocis o incompleto o inefficace ovvero addirittura impotente, dannoso, autolesionistico, fino a coprirsi pure di ridicolo, come quando compie studi defatiganti per regolare la presenza al lavoro dei lavativi o quando minaccia addirittura gli arresti per i più cronici renitenti al rispetto dell’orario. Che un Ministro e il Parlamento della Repubblica debbano occuparsi di questioncelle che risolve da solo il direttore di uno stabilimento è la prova provata di una mentalità politica e di uno Stato precipitati negli abissi dell’amministrativismo. È la proterva smania di regolare tutto e di far dipendere tutto da un funzionario, da un apparato, da un atto pubblico che nuoce all’economia e alla società. Invece di liberare le energie imprenditoriali che sole creano lavoro vero, vengono istituiti ‘centri per l’impiego’ (mai eufemismo fu più ironico) che impiegheranno sicuramente impiegati pubblici e incertamente lavoratori privati.

Lo Stato pretende e ingabbia gli altri, ma assolve se stesso, sentendosi libero di pagare ad arbitrio i suoi debiti. Nel 2017 l’amministrazione pubblica ha accumulato 57 miliardi (dicesi cinquantasette!) di debiti verso i fornitori. Invece di accelerare i pagamenti, ha raggiunto i cento giorni di ritardo, che costano ai creditori 4,1 miliardi di interessi passivi. Ecco un clamoroso esempio di come lo Stato sgoverna l’amministrazione, nonostante le promesse ripetute negli ultimi lustri da governanti bugiardi e infingardi.

Aggiornato il 21 settembre 2018 alle ore 10:14