Il redde rationem dei numeri

Eccoci giunti dunque al redde rationem dei numeri. Il Governo dei miracoli oggi dovrebbe approvare il Decreto legge fiscale e la legge di bilancio. Sebbene il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, abbia espresso la volontà di posticipare di qualche giorno la stessa legge di bilancio, la quale andrà approvata in ogni caso entro il 20 ottobre. In precedenza il Movimento 5 Stelle aveva annunciato l’intenzione dell’Esecutivo di approvare decreto e manovra insieme lunedì. Entro il 15 l’Esecutivo dovrà comunque inviare a Bruxelles il Documento programmatico di bilancio (Dpb) che contiene le previsioni macroeconomiche, l’obiettivo di saldo di bilancio per le amministrazioni pubbliche, le proiezioni delle principali voci di entrata e di spesa e la descrizione e la quantificazione delle misure inserite nella manovra di bilancio.

Ed è già in questa sede che, secondo il modesto parere di chi scrive, emergerà in tutta la sua colossale criticità il pasticciaccio brutto di una “Manovra del popolo” la quale, ancor prima che l’Europa e i mercati, sembra sfidare apertamente la logica elementare delle quattro operazioni. Se tanto mi dà tanto, il sempre più disgraziato ministro dell’Economia, Giovanni Tria, sarà chiamato a mettere nero su bianco i dettagli delle misure preannunciate nel Documento di economia e finanza, con l’obiettivo impossibile di far quadrare in qualche modo i conti.

Conti che non vogliono proprio tornare e che, anzi, ogni giorno che passa incontrano sulla loro strada nuovi ostacoli. Pensiamo, a tale proposito, alla sciagurata intenzione di superare la legge Fornero con la oramai famosa quota cento. Si è infatti scoperto che ben il 40 per cento dei soggetti interessati alla misura operano nel pubblico impiego e che, in virtù di ciò, hanno diritto ad incassare immediatamente 50mila euro della loro liquidazione, mentre il resto dovrà essere versato entro 60 mesi dal pensionamento. In soldoni si tratta di una bazzecola che aggiungerebbe altri 8 miliardi alla misura fortemente voluta da Matteo Salvini, raddoppiando di fatto l’esborso per il 2019. Tanto è vero che, considerando le altre innumerevoli falle che stanno emergendo nella manovra medesima, dalle parti del Governo sta circolando con sempre più insistenza l’opzione di far partire i provvedimenti più onerosi ad aprile prossimo, abbattendo almeno per il primo anno i costi degli esorbitanti miracoli promessi.

Da questo punto di vista, si tratterebbe di una mossa perfettamente in linea con l’irresponsabile strategia dei tempi cortissimi, degna di un incallito giocatore d’azzardo, adottata sin da subito dai geni della lampada al potere. In tal modo, pensano questi fenomenali campioni del casinò della politica, si avrebbe tutto il tempo di incassare il dividendo delle Europee previste a maggio del 2019. Ma nella sostanza ben poco cambierebbe dal lato delle prospettive di medio e lungo periodo della finanza pubblica. Prospettive rese assolutamente catastrofiche dalla valanga di spese correnti aggiuntive, fatte passare per investimenti, promesse dai miracolanti al potere. Staremo a vedere.

Aggiornato il 16 ottobre 2018 alle ore 10:38