Populismo, grillismo, politica e opposizione assenti

Difficile dimenticare le grida, gli insulti e gli assalti elettorali dal programmatico rifiuto dei vaccini, alla bocciatura delle infrastrutture, dalle quotidiane denunce della finanza al disprezzo per l’Europa agitando quotidianamente i tamburi di una condanna apodittica di quelli di prima emblematizzati nella “casta”. Parola con la magia, per chi la pronuncia, della condanna che si porta con sé e che, allontanandola come fonte e legittimazione di corruzione, malgoverno, inganni e autentiche, incorreggibili truffe al popolo italiano, si coniuga sempre e comunque al passato come in un gioco da bambini: la casta non c’è più, la casta non c’è più. Perché la casta era il prima, erano quelli di prima. Tutti gli altri.

In questo senso alcune riflessioni del professor Sabino Cassese da non poco tempo si dedicano al ritmo delle sparate populiste, delle invocazioni demagogiche dei propositi giustizialisti che si levano da una certa parte della politica - ora al governo - contrapponendovi la pacatezza del ragionamento. Ragionare su simili toni, forse anche nella speranza di attenuarne l’impatto sonoro e il dilagare mediatico, potrebbe apparire inutile a chi ha fretta di voltare questa pagina politica. Speranza non ben riposta, intendiamoci. E lo sottolineava, e continua a farlo, ieri, oggi e domani, questo giornale tanto più se si pensa che qualche mese fa, giudicando con non poche delusioni il vuoto della politica, si puntava lo sguardo preoccupato su chi ha trasformato l’appello al popolo in una mozione di sfiducia alla democrazia rappresentativa.

In realtà, che la politica si sia in un qualche modo dissolta non da mesi ma da anni, è per molti di noi qualcosa di più di un’impressione, ancorché disperante ma anche e soprattutto la ragion d’essere della corrispettiva presa d’atto di altri vuoti. Difatti, a ben vedere, l’assenza grave e imperdonabile della ragion d’essere della Polis deriva e si coniuga con un’altra assenza, non meno fonte di guai e avventure per la nostra democrazia, cioè quella dell’opposizione. A questo proposito resta di attualità l’affermazione del direttore laddove ricorda ai troppi immemori che in una democrazia liberale la maggioranza governa e l’opposizione controlla, con l’obiettivo di diventare lei stessa governo. A meno che deleghi la faccenda ai giornali.

Il termine-aggettivo “liberale” è per dir così indissolubile da quello di democrazia, ma vogliamo correre il rischio del “repetita iuvant” puntando gli occhi su chi dovrebbe svolgere il compito, il ruolo di opporsi a una maggioranza per diventare governo e per rendersi conto che, almeno fino ad ora, quel ruolo non sembra coperto. Né il compito svolto. Tant’è vero che, appunto, una missione tanto necessaria è per dir così lasciata ai giornali, e non tutti.

Lasciamo perdere coi perché e i percome magari cullandoci per qualche minuto nella speranza che prima o poi il conto delle cose non fatte o malfatte sarà presentato agli attuali governanti. Ma per quale ragione questo conto dovrebbe essere saldato da costoro in mancanza di leggi, iniziative, programmi, progetti, proposte, denunce rigorosamente politiche e programmatiche e quindi con una ragione e una validità davvero popolari. Oltre che liberali. E, si badi bene, un compito come questo e la sua “mission” non soltanto è necessario ma, non sembri incredibile, è facile e comunque agevolato da un dato di fatto e di fondo dell’attuale compagine governativa, soprattutto da parte grillina magari sullo sfondo mediatico, presenzialista e declamatorio dimaiano. Uno sfondo che non riuscirà a imporsi su un altro e ben più grave handicap nell’assenza di una politica degna di questo nome: l’incapacità. Di governo. Vero, ministro Tontinelli?

Aggiornato il 18 ottobre 2018 alle ore 13:22