Quello  “sconfinamento” ai limiti del grottesco

Questa storia, anzi, queste storie, perché pare che i casi siano due, di non meglio qualificati francesi in tuta mimetica, giubbotti antiproiettile ed armi non precisate che si sarebbero inoltrati, sconfinando, in territorio italiano, si direbbe siano state organizzate dall’Ufficio Studi del Ministro dell’Interno con vocazione e supplenza per gli Esteri del Vicepremier Matteo Salvini.

Sì, insomma, quelli, che un po’ d’anni fa sarebbero stati subito qualificati come extraterrestri, con addebito a militari, C.I.A. e Governo di averli fatti scomparire, cancellando tracce e testimonianze, oggi, violando i confini, ribadiscono il valore pieno e chiamano la gente alla riscossa “sovranista” in difesa dell’inviolabilità del ruolo della Patria.

Però gli “sconfinamenti” sul crinale alpino delle Francia non sono cosa nuova. A parte Annibale con i suoi elefanti e con la sua tecnica di scioglimento delle rocce con l’aceto e, poi le altre invasioni fino a Napoleone, storie di veri e propri “sconfinamenti” ve ne furono tanti. Se ne parlò specie quando i rapporti con la “Sorella Latina” non erano proprio fraterni.

Qualcosa del genere racconta nel suo libro di memorie il Generale Eugenio De Rossi. E sempre il grottesco si affaccia nei nostri rapporti con la Francia. Magari la storiella del “Generale Mannaggia La Rocca”.

Ma queste due storielle che inutilmente cerco di convincermi non siano state organizzate da qualche troupe cinematografica su commissione di Matteo Salvini, sembrano proprio realizzate su di un modello cinematografico. Non mi ricordo come si chiama il film. Uno dei tanti e nemmeno il peggiore di quelli che ci ammanniscono. Ricordo che attore principale era Montesano. Lo “sconfinamento” però era inverso. Un reparto, non so se di Bersaglieri aveva perso la bussola durante le manovre nei pressi del confine svizzero ed aveva “occupato alcuni villaggi delle Confederazioni” provocando una specie di guerra, sia pure incruenta, tra i due Stati.

Può darsi che qualche amico di Salvini, insomma qualche autorevole “sovranista” si sia ricordato di quel film ed abbia pensato che vicende come quella in essa narrata, ripetute cambiando direzione all’“invasione” sarebbero state ottima cosa per far rivivere un po’ di spirito nazionale, nazionalista e quindi sovranista.

Non siamo solo noi cittadini comuni a doverci interrogare con il classico detto romano “che s’ha da fà pe’ campà”. Anche i nostri governanti (diciamo così, tanto per dire) sono in ansia e lotta quotidiana per “campà”. Si interrogano che s’abbia da fare. Solo che, magari, trovano che “da fà” debbono essere gli altri.

Aggiornato il 19 ottobre 2018 alle ore 15:51