Il partito dei viaggi e della nuova giustizia che avanza

Si è detto e scritto che c’è sempre e comunque un partito più partito di tutti - specialmente quando si accede al governo - quello dei fatti. Viene generalmente aggiunta una ulteriore qualifica, sia pure con le dovute riflessioni, nella misura nella quale tale partito è o potrebbe costituire il vero antidoto contro il populismo, politico o mediatico.

In effetti, guardandoci serenamente indietro verso i primi quattro o cinque mesi del governo in carica, sostanzialmente populista e pure un tantinello giustizialista, non spiccano ai nostri occhi risultati di successo, ovverossia decisioni e fatti di portata degna della autodefinizione imposta già in campagna elettorale come movimento politico, partito, del “Nuovo che avanza”.

Non per infierire con elenchi, ma limitiamoci ad una lettura un poco più attenta dell’intervento di Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, alla giornata internazionale del risparmio del 31 ottobre. Non vogliamo marchiare né santificare il nome del governatore con uno slogan di tanti anni fa: un nome, un marchio, una garanzia. Il fatto è che la sua parola non è e non può mai essere ispirata da tentazioni di self promotion o da impeti di popolarità mediatica, tanto più se questa parola è il nerbo di interventi che non possono non avere il segno dell’ufficialità quale si addice al tema delle banche, del risparmio del nostro vivere comune, sia pure all’interno di garanzie finanziarie, economiche e sociali.

La frase del governatore è questa: “Da maggio ad agosto gli investitori esteri hanno effettuato vendite nette di titoli italiani per 82 miliardi, di cui 67 relativi a titoli pubblici. L’ammontare risulta elevato anche quando si tiene conto del fatto che le emissioni nette del Tesoro sono state negative in giugno e in agosto complessivamente per 17 miliardi. Al deflusso di capitali hanno contribuito gli acquisti netti di titoli esteri da parte dei residenti (pari a 18 miliardi, in gran parte nel mese di agosto)”.

Il nostro giornale ha avuto già modo di ragionare intorno al discorso del governatore della Banca d’Italia e se ne vogliamo mettere qui in risalto una sia pure piccola ma significativa ed eloquente parte, la ragione proviene da uno dei tanti viaggi all’estero del vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, in queste ore a colloquio con ministri e responsabili del governo cinese mentre, in contemporanea, una sua lunga intervista al Financial Time ha messo per così dire a fuoco e in risalto scopi, finalità, opere ecc. del suo governo. “Suo” e di Matteo Salvini, beninteso. E, ovviamente, di Giuseppe Conte. Un altro ministro, Giovanni Tria, è in queste ore impegnato a Bruxelles in un confronto-scontro con Pierre Moscovici a proposito delle scelte che il Governo Conte deve sottoporre, come da statuto e pure da buon senso, all’Europa verso la quale, peraltro, i due “vice” italiani non sono mai teneri nei giudizi.

Si sa, il populismo si sposa con il sovranismo che si colloca alla parte opposta (e contraria) dell’europeismo. A Pechino, altra nota a margine del viaggio dimaiano, il presidente “Ping”, se le agenzie non hanno preso un abbaglio per via della lingua affascinante ma non facile, e comunque non a colloquio col nostro vicepresidente del Consiglio, ha fatto qualche cenno critico a proposito del populismo (al governo…).

Un populismo, almeno qui da noi, che è bensì al governo, ma molto spesso in viaggio, e non soltanto in quello che fu l’Impero Celeste. Viaggi per conoscere il mondo, confrontarsi, stabilire amicizie, fare accordi.

Su questo nulla quaestio, direbbe il sempre utile Cicerone. Ma la loro frequenza può indurre al sospetto che sia meglio allontanarsi per qualche giorno, e in visita di Stato, dal proprio di Stato (e governo) con le beghe interne, e di non poco conto sol che si pensi al disaccordo fra Lega e 5 Stelle, fra i due uomini di governo, Giancarlo Giorgetti, e Alfonso Bonafede, il ministro della Giustizia, a proposito della prescrizione che il ministro competente ritiene da superare, se non da dimenticare. Proteste di avvocati, critiche anche da procuratori della Repubblica, dissensi fra gli stessi pentastellati cui il giustizialismo è necessario almeno quanto il populismo, perché sia l’uno che l’altro, è esercitato dal e per il popolo. E dunque, si metta la fiducia.

No comment, verrebbe voglia di concludere. Con un invito a innovare la dicitura del ministero retto da Bonafede: ministro del giustizialismo. Finalmente il “Nuovo che avanza”, che rinnova vecchie e superate intestazioni. Non se ne poteva più.

Aggiornato il 06 novembre 2018 alle ore 11:35