Prescrizione come diritto o come regalo?

giovedì 8 novembre 2018


Se ne parla ancora, come si evince dal nostro giornale la cui battaglia contro il giustizialismo & populismo non si ferma mai alle persone ma ai fatti (e alla Costituzione), perché la prescrizione non può e non deve mai essere considerata una sorta di riforma gentilmente offerta da chi ha il potere, ma una prescrizione della Costituzione oltre, e ovviamente, una garanzia per un cittadino alle prese con i processi e la loro durata.

Perciò vale la pena riprenderne il tema anche rispetto a una sorta di ping-pong (ad essere buoni) fra, mettiamo, qualche magistrato autorevole e altri, non meno autorevoli, del Movimento 5 Stelle.

Fra questi ultimi, come ricordava “Il Foglio“, spicca il parlamentare pentastellato Andrea Colletti, che può ben ritenersi colui che ha promosso la battaglia giustizialista nel suo movimento e che, fermo nella sua convinzione, ha affermato che proprio sulla prescrizione i suoi 5 Stelle sono stati persino troppo buoni, aggiungendo, peraltro, non poche critiche agli alleati di governo, tacciando i leghisti, che pure hanno il vicepresidente del Consiglio, né più né meno che di menefreghismo, e chi più ne ha più ne metta anche in riferimento a Salvini, Stefani e Bonafede.

L’aspetto, secondo taluni curioso ma, a detta di non pochi, riflettente una situazione politica percorsa da un tanto robusto quanto inquietante filo antigarantista, sta nelle considerazioni di opposto tenore dei magistrati che non possono prescindere dalla consapevole certezza che snaturare le garanzie dei tempi di prescrizione significa purtroppo ignorare, con altrettanta consapevolezza, lo stato di diritto.

Insomma, da qualsiasi parte (politica, associativa, ecc.) la si osservi e la si pratichi, la giustizia non può sempre e comunque ignorare, omettere, cancellare di fatto, la prescrizione perché il problema italiano di fondo, quello più incombente, sono i processi la cui durata è considerata dalla stragrande maggioranza, di eccessiva durata.

Noi sappiamo benissimo che la snaturazione delle garanzie processuali, e dunque dei tempi della prescrizione, coincide con l’ignoranza, per di più cosciente, di quello che noi chiamiamo, in ascolto e in ossequio alla Costituzione di una democrazia democratica come la nostra, né più né meno che stato di diritto. E non a caso la stessa Anac ha affermato a tal proposito che la cosiddetta riforma della prescrizione non può essere per dir così “octroyé” gentilmente offerta dal sovrano (popolo), ma né più né meno che un istituto di garanzia tanto imprescindibile quanto irrinunciabile e, all’uopo, viene ricordato che processare uno qualsiasi per un fatto di vent’anni prima è semplicemte assurdo!

Non solo, ma va ulteriormente ricordato ai tanti smemorati di comodo e ai non pochi giustizialisti politici “un tanto al kilo”, che esiste né più né meno un altro diritto, quello all’oblio, che trova il suo fondamento nel diritto costituzionale, precisamente in quella che viene chiamata, appunto, ragionevole durata di un processo per cui nessuno può essere messo sotto processo per un presunto caso, fatto, colpa o reato avvenuto chissà quando.

E di già che ci siamo nelle cosiddette curiosità di questa vicenda e del suddetto ping-pong fra politica e magistratura, vale la pena ricordare una sorta di avvertenza da parte dei magistrati che ricordano senza molti fronzoli diplomatici che senza il loro benestare la prescrizione non si tocca.

Un cenno finale alla questione, testé approvata, della fiducia. A non pochi distratti deve essere sfuggito ciò che accade di frequente, a cominciare da Luigi Di Maio e a qualche pentastellato nel passaggio dall’opposizione pura e dura di qualche tempo fa all’ascesa al governo con ministri, sottosegretari e posti di sottogoverno sulla cui distribuzione intepartitica (tuttora in atto) si sollevava un urlo di protesta definendola né più né meno come il mercato delle vacche. Ebbene, tanto per (non) fare nomi, la pentastellata Paola Taverna, che non è affatto una grillina dell’ultima ora, tre anni fa si scagliava, con parole a loro modo esplicative, contro il governo di allora che aveva deciso di ricorrere alla fiducia: “Fiducia di che? Provvedimento di merda!”.

Deve aver cambiato idea.


di Paolo Pillitteri